Napoli, città dalle mille sfumature.

Città cui principale fonte di economia è il turismo, possiede il maggior numero di patrimonio culturale della Penisola italiana, ma non tutto ciò che è oro luccica ed il più delle volte viene abbandonato a sé stesso.

Sono in molte le località da scoprire ed apprezzare nella città partenopea, visitate annualmente da turisti provenienti da tutto il globo, desiderosi di scoprire ogni giorno di più della cultura napoletana e della sua storia, in grado di toccare fasce d’epoca e d’arte differenti.

Nonostante si posseggano alte stime di visitatori annui, non tutti i siti vengono curati come dovrebbe esser fatto e, sia per mancanza di fondi, che per i continui atti vandalici, la gran parte del patrimonio sta subendo un lento processo di decadimento di cui, giorno dopo giorno, si mostra sempre più evidente agli occhi del mondo.

Basti considerare le aree archeologiche delle antiche città di Pompei ed Ercolano, sopravvissute fino ai giorni nostri dopo la tragica eruzione del Vesuvio del 79 d.C., che fanno ormai fatica a reggersi in piedi, protagoniste di continui crolli e atti vandalici, con zone vietate al pubblico per l’incolumità del turista.

Nell’attesa di fondi sufficienti per il restauro, i parchi continuano ad essere accessibili nei siti cui è ancora possibile, registrando un aumento sempre maggiore di visitatori, desiderosi, probabilmente, di godersi gli ultimi istanti di quelle che furono tra le più importanti città romane.

Non tutti i monumenti e i musei sono però nella stessa situazione dei sopracitati.

È il caso del Museo Nazionale di Capodimonte, fondato nel 1758 dal re Carlo di Borbone con lo scopo di esporre le collezioni d’arte della famiglia reale, e cui storia possiede continui alti e bassi: fu vittima di furto di opere dal valore prestigioso durante la Seconda Guerra Mondiale da parte dei soldati francesi e tedeschi e un restauro nel 1957 che munì l’edificio di laboratori di restauro, bookshop e caffetteria, aprendolo definitivamente al pubblico, cui vanta un alto numero di visitatori annui, in aumento anno dopo anno.

O è l’esempio di rinascita il Museo Nazionale Ferroviario di Pietrarsa, che dal 2014 ha visto un aumento di registrazioni di visitatori, grazie anche ad una maggiore pubblicità del posto attraverso eventi pubblici, come convegni e spettacoli, e privati, come nel caso dei matrimoni, nei quali gli invitati postano foto del luogo su social fornendo una nuova immagine del museo.

Questo ha comportato anche una re modernizzazione dei padiglioni, che sono stati forniti di sistemi di audioguide, voci registrate pronte a raccontare la storie delle locomotive in prima persona, musica suggestiva per attirare lo spettatore e pareti di vetro, oggetto di atti vandalici.

Non è da meno il giardino esterno che, grazie ad un’amicizia che lega il direttore del Museo con quello dell’Orto Botanico, è stato fornito di piante esotiche, provenienti da luoghi come Africa, con l’intento di arricchire l’esterno e studiare i comportamento di queste in zone differenti da quelli di provenienza.

Ed è anche per l’aumento di turisti e delle migliorie effettuate che sono state assunte 25 persone e si spera in un costante aumento, fornendo ai giovani laureati una nuova possibilità nel mondo del lavoro.

È dunque giusto parlare di “rinascita del territorio” e della sua cultura o bisogna rassegnarsi ad un lento percorso di decadimento, che porterà alla perdita del patrimonio?

Come dimostrano statistiche effettuate durante il corso di decenni, gli ingressi registrati per quanto riguarda un determinato luogo non rappresentano certamente una continuità o un aumento costante, ma sono caratterizzati da anni in cui si toccano i picchi massimi di visitatori annui, seguiti da “crolli” non indifferente, impossibilitando, quindi, una risposta sicura, sia questa positiva o negativa per quanto riguarda l’aspetto economico.

Bisognerà dunque attendere per ricevere certezze, e nel frattempo visitare e scoprire la cultura napoletana prima che la perdita del patrimonio partenopeo sia la risposta attesa.

Di Andrea Peluso.