“Nonostante tutto la verità esiste”

I dati diffusi da Reporters sans frontières dimostrano come  la libertà di stampa non sia, ancora oggi, un diritto totalmente acquisito. Non solo nei paesi a regime dittatoriale, ma anche negli stati democratici, i poteri forti continuano a condizionare  l’informazione e di conseguenza l’opinione pubblica.

L’articolo 19 della Dichiarazione universale dei Diritti umani recita così: “Ogni individuo ha diritto alla libertà di opinione e di espressione incluso il diritto di non essere molestato per la propria opinione e quello di cercare, ricevere e diffondere informazioni e idee attraverso ogni mezzo e senza riguardo a frontiere”. Oggi, a circa 60 anni dalla sua promulgazione, assistiamo ancora a casi di giornalisti arrestati o addirittura uccisi per la libertà di stampa. Se vogliamo tradurre in numeri, secondo i dati dell’Rsf e dell’Unesco, in 5 anni sono stati  530 i reporter uccisi nel mondo, 29  dall’inizio del 2018. La libertà di informazione e di stampa è infatti la colonna portante della democrazia, ma principale nemico dei paesi antidemocratici che fondano il proprio regime sulla censura.

Alla luce di ciò, si sarebbe portati a pensare che dati del genere risultino esclusivi di paesi come la Corea del Nord,  guidati da un regime autoritario o dittatoriale, ma in realtà non è così. Anche paesi democratici e che hanno fatto della libertà di stampa un fondamento delle proprie carte costituzionali, vedono sempre più minacciata l’informazione libera e indipendente. Nella stessa Italia, durante l’anno corrente, ben 76 giornalisti hanno subito minacce.  Di questi una decina sono ancora sotto una protezione permanente, soprattutto a causa delle continue intimidazioni della mafia, di gruppi anarchici e fondamentalisti che non smettono di aumentare.

Dal World Press Freedom Index emerge, infatti, che il nostro Paese ha un coefficiente sulle limitazioni alla libertà per i media di 24,12, appena più alto di quello degli Stati Uniti (23,73),  che si collocano al 45° posto della classifica sulla libertà di stampa stilata dall’Rsf, indietro di due posti rispetto all’anno precedente. La causa principale è l’abbandono al media-bashing del presidente Donald Trump che addita i reporter come “nemici del popolò”, formula che veniva usata da Stalin.

In una società in  cui i media possono contare su numerosi canali di diffusione, la rete potrebbe essere quasi etichettata come l’emblema della libera informazione, ma anche quest’ultima non è in grado di sfuggire al fenomeno della censura. I casi di censura online, infatti, secondo quanto stimato da Reporters sans frontières, interessa ben 37 paesi.

La stessa Italia, nella suddetta classifica,  si è posizionata solo al 46°  posto su 180 paesi esaminati, ben lontana dalla Norvegia, che invece è la prima classificata. Perché il nostro paese non riesce a raggiungere i livelli dei più democratici paesi scandinavi? Probabilmente il motivo risiede nel fatto che in Italia esistono poteri forti  e consolidati come le mafie e le lobby politico – economiche che tendono a schiacciare i giornalisti portatori di pareri scomodi e dissonanti. “Sempre più leader democraticamente eletti – deplora l’Rsf – vedono la stampa non più come fondamento essenziale della democrazia, bensì come un avversario al quale mostrano apertamente la loro avversione.”

Spesso le pressioni sono così insostenibili,  che sempre più giornalisti scelgono di ricorrere all’”autocensura”, soprattutto a causa dell’inasprimento della pena per il reato di diffamazione contro politici, magistrati o funzionari che un recente progetto di legge ha  portato alla reclusione fino ai 6-9 anni.

L’unica alternativa all’autocensura è il dar vita, anche a colpi di social, ad una vera e propria lotta di opinioni e pareri contrastanti cha danno come risultato per l’opinione pubblica l’incapacità di distinguere la verità dalla menzogna. Eppure, come sostiene Victor Serge, “nonostante tutto la verità esiste”, basta solo saperla individuare…