Solo 11 scemi…?

Sono solo 11 scemi che corrono dietro a un pallone.” Avremmo sentito questa frase fino alla nausea, da parte di chi non apprezza il gioco del calcio; o forse, solo da chi non lo capisce fino in fondo. Già, perché il calcio è uno sport molto più complesso di quanto sembri. Prima di passare all’aspetto puramente tecnico, però, bisogna porsi la seguente domanda: Come è possibile che tenga incollati davanti al televisore o ai seggiolini degli stadi milioni, se non miliardi di persone?”

Parafrasando Josè Mourinho, uno dei più grandi allenatori della storia, chi sa solo di calcio non capisce niente di calcio”. Ed è vero, perché all’interno di questo sport non c’è solo l’aspetto pratico, perché il calcio è un cocktail di storia, arte, fantasia, filosofia, fisica, geometria, e soprattutto immensa passione. Tutto racchiuso in un apparentemente semplice 11 vs 11.

Ancor prima di essere oggetto di business come è oggi, quando è stato inventato, il calcio aveva innanzitutto una funzione sociale perché chiunque, anche se al di fuori di esso non era nessuno, dentro il rettangolo verde poteva sentirsi importante. Ed è forse proprio per questo che spesso i calciatori provengono da famiglie umili, perché ricercano nel calcio un elemento di riscatto sociale.

Comunque, dopo aver risposto alla prima domanda, è opportuno chiedersi come un singolo sport possa inglobare tutte queste discipline. Partendo dalla sua storia, essendo stato creato nel 1863, di cose ne sono successe in 165 anni di vita. A primo impatto però, se dovessi scegliere l’episodio del passato più rappresentativo, non potrei non scrivere del 25 dicembre 1914: siamo in una località delle Fiandre ed è il giorno di Natale, ma è un Natale un po’ particolare visto che è in atto la Prima Guerra Mondiale, inglesi contro tedeschi. La mattina stessa, la cosiddetta terra di nessuno, quella striscia di 50 metri che divideva le due trincee, era sgombra; i cadaveri che fino alla sera prima giacevano senza sepoltura, non c’erano più. L’esercito inglese non riesce a credere ai suoi occhi perché si ritrova faccia a faccia con i soldati tedeschi che si nascondevano da settimane. “E’ uno scherzo” pensano sbalorditi alcuni, mentre è solo l’umana compassione e fratellanza di fronte agli orrori della guerra, che per un giorno può ritornare ad avvolgere la vita di ognuno di loro, in virtù della mattina di Natale. E così, dopo aver acceso candele, addobbato gli alberi con quel poco che si aveva e cantato insieme una melodia natalizia, all’improvviso, sbuca un pallone. Quello strano oggetto, lontano dall’essere perfettamente sferico, rimbalzò tra i commilitoni. Inizialmente nessuno ebbe il coraggio di toccarlo, ma tutti lo guardavano, desiderosi di rompere gli indugi con la forza del pensiero. Ci pensò un tedesco un po’ più brillo degli altri a dare un calcio a quell’oggetto rotondo, per far partire la caccia alla palla. Avete presente quando lanciate la palla al vostro cane e vedete con quale foga va lì a riprendervela? Ecco, un’altra magia del calcio è che riesce a esprimere tutta la sana spontaneità dell’uomo in un semplice atto. Con la stessa istintività di un animale, infatti, tutti i soldati si lanciarono a calciare il più forte possibile quella specie di palla verso la parte avversaria; non esistevano regole, non c’erano limiti, si crearono solo spontaneamente squadre composte dagli uomini con la stessa divisa, 50 da una parte e 70 dall’altra. La partita durò fino alla notte stessa, e per la cronaca –così scrissero alcuni soldati nei loro diari- vinsero 3-2 i tedeschi. Ma è il caso di dire che abbiano vinto tutti perché, anche solo per un giorno, la guerra si era piegata allo spirito di aggregazione del calcio.

Ma oltre ad avere storie indelebili come questa, il calcio ingloba anche altri aspetti ugualmente nobili, come l’arte e la fantasia. Prima di tutto, cosa intendiamo noi oggi per arte? Un bel quadro, un monumento, un’opera, poco altro. Non solo. L’arte è ogni attività dettata dalla creatività e dalla fantasia in grado di muovere l’animo umano. Di conseguenza, questa definizione comprende anche il movimento rotolante di quell’oggetto sferico perché, se -come si dice in gergo- “dai del tu al pallone” , riesci a far breccia nel cuore di milioni di persone. Perché quando tocca palla Lionel Messi, Andrès Iniesta, Luka Modric, o quando la toccavano Maradona, Pelè, Totti, Pirlo e tanti altri, assomigliano molto a dei pittori che danno uno schizzo al loro quadro, con la palla come pennello e la tela come il rettangolo da gioco. Ancora più appagante forse è vedere un gol bellissimo frutto dell’azione di tutta la squadra, perché a parità di bellezza nel gioco del calcio un lavoro armonico fa sempre più effetto di uno singolo, dal momento che questo è realmente uno sport di squadra.

Ai veri appassionati, però, se c’è un’altra cosa che li manda in estasi è sentir parlare di calcio: interviste di allenatori, commenti di esperti, persino le classiche chiacchiere da bar . Ci si lascia cullare dalle loro parole. E’ per questo che il calcio ha avuto e ha dei veri e propri filosofi, ossia allenatori e opinionisti che hanno rivoluzionato il modo di giocare e di interpretare questo sport. C’è da dire però che il calcio nei decenni è stato in continua evoluzione, mentre prima era più semplice, “sanguigno” ora è diventato uno sport molto più tecnico e tattico. Solo così infatti potremmo comprendere il “palla avanti e pedalare” di Franco Scoglio, storico allenatore dagli anni ’70 ai 2000, un concetto ferreo del calcio dell’epoca. Per non parlare delle perle di Vujadin Boskov, coach della Samp negli anni ’90, come “Rigore è quando arbitro fischia” , “Squadra che vince non si cambia” , “Se la gente si vuole divertire va al circo” , “Meglio vincere sei partite 1-0 che una partita 6-0” , per concludere col romanticissimo “Se uomo ama donna più di birra gelata con amici davanti a finale di Champions, forse vero amore, ma no vero uomo” . Tutte frasi decisamente scontate che esprimono concetti molto semplici, ma che delineano perfettamente una corrente di pensiero propria di un’altra era calcistica. Da qui infatti si passa a una concezione più basata sul divertimento e sulla tattica: basti pensare alla politica del “far divertire” del boemo Zeman, al “tiki-taka” di Pep Guardiola, alla maggior importanza dei moduli e delle trame di gioco. Si parla per questo di filosofie calcistiche, ogni allenatore oggi ha una visione di calcio differente facilmente riconoscibile. Gli intenditori sanno dell’aggressività delle squadre di Jurgen Klopp, del gioco palla a terra di Maurizio Sarri ( in Inghilterra hanno già coniato il termine “Sarri ball” ) , della cattiveria degli uomini di Diego Simeone ( il mondo del calcio lo definisce il “cholismo” ) o della estrema duttilità tattica di Max Allegri.

Tutti questi concetti, però, si manifestano in campo attraverso una -strana per chi non la conosce- sequenza di numeri, che formano inusuali figure geometriche: 4-3-3 ( variabile in 4-3-2-1 o 4-3-1-2 ), 4-2-3-1, 4-4-2, 3-4-3 ( variabile anch’esso in 3-4-2-1 e 3-4-1-2 ) , 3-5-2. Ma cosa sono, e soprattutto cosa comportano nell’equilibrio tattico di una partita? Ovviamente ogni modulo ha vantaggi e svantaggi, non esiste lo schieramento perfetto, dunque bisogna scegliere in base ai giocatori disponibili in rosa. E’ intrigante pensare che ogni modulo sia un po’ come il vestito che una squadra sceglie per andare a cena; non perché io sia uno che giudica una persona da come si veste, ma ciò dice molto del suo modo di essere. Ci sono degli allenatori che sono passati alla storia anche solo per il loro schieramento tattico, come dimenticare il 4-3-3 di Zeman o il 3-5-2 di Conte. La maggior parte utilizza lo stesso modulo solo per il loro periodo di permanenza in una squadra, altri ancora invece lo cambiano in corso d’opera in base all’avversario da affrontare. Come dicevo prima ogni modulo ha dei pro e dei contro, andiamoli a vedere insieme.

Cominciando dal 4-3-3, è un sistema in cui il gioco si manifesta molto su vie centrali, visto che non sono presenti esterni di centrocampo che vanno a prendere palla dietro per crossarla in mezzo; ciò comporta inevitabilmente schemi palla a terra, con pochi lanci lunghi e propensi al bel gioco. Per fare esempi pratici, il 4-3-3 sempre di Zeman a Pescara, quello di Sarri a Napoli o quest’anno del Sassuolo di De Zerbi. Il suo principale punto di debolezza si manifesta quando il centrocampo si trova in inferiorità numerica in caso di avversari col centrocampo a 4 o a 5, per questo risulta fondamentale il ritorno degli esterni d’attacco nelle sortite avversarie. Le sue varianti, il 4-3-2-1 o il 4-3-1-2 differiscono in quanto il primo è un po’ più difensivista avendo due trequartisti più indietro rispetto ad eventuali esterni d’attacco ( e quindi più propensi a difendere ) , mentre il secondo può contare sul sistema delle due punte e quindi nei momenti di difficoltà nel costruire un’azione si può procedere anche al lancio lungo verso l’attacco “saltando” il centrocampo.

Continuando con la difesa a 4, è il momento del 4-2-3-1, uno schema che può alternare momenti di gioco iper-offensivi ad altri molto prudenti: se da una parte i 4 uomini davanti garantiscono tantissime soluzioni, dall’altra lasciano parecchio sguarnito il centrocampo coperto da soli 2 uomini nelle ripartenze avversarie. L’ago della bilancia è dunque rappresentato dai 3 giocatori dietro la punta, perché se non tornano spesso indietro diventa un gioco da ragazzi per gli avversari superare la linea di metà campo; nel caso in cui lo facciano, invece, questo può diventare un modulo micidiale, in quanto in fase di non possesso palla ci si piazza con un assai coperto 4-5-1, mentre con la palla tra i piedi, si hanno parecchie soluzioni offensive.

Chiudendo con la difesa a 4, il 4-4-2 è un modulo assai diverso dai primi analizzati perché molto più equilibrato e prudente. Con una difesa e un centrocampo molto rocciosi diventa difficile rendersi pericolosi dalle parti del portiere, e nelle azioni offensive si può contare su sovrapposizioni ( il terzino con l’esterno di centrocampo ) continue sulle fasce avversarie. L’altra faccia della medaglia però mostra un evidente prevedibilità della manovra offensiva, in quanto il sistema più privilegiato è come scritto sopra il cross in mezzo per le due punte. In poche parole, si subisce poco ma si segna altrettanto poco. Un esempio calzante è quello della Svezia ( tanto cara a noi italiani ) al mondiale in Russia, con un gioco intuibile, pochi gol fatti e altrettanti subiti, ma la sua solidità le ha permesso di spingersi fino ai quarti nonostante una qualità decisamente inferiore alle altre squadre.

Passando con la difesa a 3 invece cominciamo col 3-4-3, variabile in 3-4-2-1 e 3-4-1-2: le 3 punte davanti sommate ai 4 centrocampisti garantiscono un peso offensivo non indifferente, ma i giocatori imprescindibili sono gli esterni, che devono essere abili a svolgere entrambe le fasi di gioco, altrimenti la difesa con soli 3 uomini può diventare facilmente sensibili agli attacchi avversari. Le sue varianti sono simili a quelle viste prima col 4-3-3, con i due trequartisti che aiutano anche in fase difensiva, mentre nell’altro si ha l’alternativa della palla lunga.

Ultimo ma non meno importante è il 3-5-2, un modulo con cui noi italiani ci siamo fatti conoscere in giro per il mondo con il classico “catenaccio e contropiede” . Il vantaggio è infatti la grande solidità in mezzo al campo e la difesa a 5 in fase di non possesso ( in quel caso si passa al 5-3-2 a seguito dell’abbassamento degli esterni ) , ma di conseguenza non si può disporre di tante trame offensive, quindi l’unico modo per attaccare è sfruttare i contropiedi in seguito al fallimento di un’azione avversaria. Ovviamente ci sono anche delle piccole eccezioni come nel caso della Lazio dell’anno scorso, che con questo modulo è stata sorprendentemente il miglior attacco e la decima peggior difesa del campionato, ma in genere funziona al contrario.

Bene, abbiamo finito anche con la tattica. Tutto questo, dalla storia alla geometria passando per la filosofia e l’arte, è il corpo del calcio. Ma un corpo non è niente senza la sua anima. La vera anima del calcio non è fatta da giocatori, allenatori, o benché meno dai business men che tanto ci lucrano, ma da chi fa gli straordinari al lavoro per essere sui gradoni dello stadio, da chi si fa venire il sangue amaro o da chi dà un senso alla domenica per il risultato della sua squadra. Fondamentalmente, da chi la segue a prescindere dal risultato. Siamo noi tifosi a tenere vivo questo sport, che altrimenti sarebbe solo un piacevole passatempo, siamo noi che lo rendiamo magico, riempiendo impianti da 80.000 posti e gridando a squarciagola come se da quella partita dipendessero le sorti del mondo. Il calcio è quello che è grazie agli sfottò a scuola o al lavoro, alle chiacchiere al bar, all’appartenere a una fazione o ad un’altra nella stessa città. E’ il sentirsi parte di qualcosa. In alcuni paesi stroncati dalla guerra o sommersi dalla povertà, per rendere felici le persone basta veder rotolare un pallone in mezzo a una strada, poi il resto va da sé. Non lo dico io questo, ma molti calciatori che raccontano della loro infanzia. Vi lascio con una frase che ho letto recentemente dietro alla maglietta di un mio amico: “Terra e sassi, un pallone, dieci persone al tuo fianco, undici di fronte a te; un fischio lungo e secco, le maglie che si mischiano, inizia la vita…” Ogni maledetta domenica.

 

Di Emanuele Caviglia