Il ponte è diventato un muro che divide i genovesi

Desirèe Aresi, 40 anni, insegnante d’asilo al Campasso, che vive e lavora in Valpolcevera, racconta come è cambiata la sua vita, e quella dei suoi fratelli, dopo la tragedia del ponte Morandi

di Ilaria Penco

 

Dove ti trovavi quando è caduto il ponte?

Fortunatamente mi trovavo in Trentino-Alto Adige, in vacanza. Ero molto dispiaciuta perché i miei fratelli per un’emergenza lavorativa non sono potuti partire con me per le vacanze e dovevano raggiungermi. Quindi i miei fratelli si trovavano in officina.

Dove si trova l’officina dei tuoi fratelli?

L’officina e proprio in via Porro, in “zona arancione”, al margine di quella che è la “zona rossa”, a poche centinaia di metri dal ponte Morandi. La zona rossa è quella che è stata evacuata, la zona arancione è quella subito adiacente.

Quindi i tuoi fratelli hanno sentito il ponte crollare?

D: Sì, loro, però, credevano che fosse l’ennesimo tuono, perché quel giorno diluviava forte. Lì vicino passa la ferrovia e li ha colpiti il fatto di vedere i cavi arrotolarsi tra di loro e sprigionare scintille come in un’esplosione; loro, però hanno associato quello strano evento a un fulmine, probabilmente caduto nelle vicinanze. Poi hanno visto le persone della ditta di fronte che sono uscite di corsa indicando in alto, anche se continuava la pioggia torrenziale. Subito non capivano, ma poi si sono girati e si sono accorti che un pezzo di ponte non c’era proprio più. È mancata quasi subito la luce e si sono rotte anche le tubature del gas, quindi c’era il rischio di esplosione, la protezione civile è passata dicendo a tutti di non uscire perché c’era il rischio di esplosioni, per via di possibili fughe di gas, e ulteriori crolli del ponte e poi anche per non intralciare i soccorsi. Quindi hanno passato l’intera giornata in officina. La sera sono potuti andare a casa, ma fin da subito si sono resi conto che tutto era cambiato, perché le strade abituali per tornare a casa non si potevano più percorrere. Quando ho saputo del crollo, ho cercato subito di chiamarli. Quando sono riuscita e sentirli, mi ricordo che mio fratello ha detto che si era sentito impotente, poiché a pochi metri da lui c’erano dei morti e lui non poteva fare nulla per aiutare.

Quali sono le conseguenze di questo crollo sulle vostre vite?

Noi le abbiamo respirate fin da subito, perché le strade abituali sono tutte bloccate. Basta pensare che per andare a lavorare io adesso devo fare un giro di chilometri… da Begato prima passavo per Rivarolo, Certosa e arrivavo, adesso invece devo andare a Bolzaneto, prendere l’autostrada, arrivare a Sampierdarena e tornare indietro.Se lavorassi a Milano ci metterei lo stesso tempo per arrivare al lavoro.

Nel mio asilo c’erano tanti bambini che vengono da Certosa e, prima, le mamme accompagnavano i bambini a piedi in cinque minuti, passando sotto il ponte, adesso non lo possono più fare: per venire all’asilo devono prendere la metropolitana…o in macchina e fare tutto il giro lungo chilometri. Quindi c’è stato anche un ricollocamento dei bambini dell’asilo per chi abita dall’altra parte del ponte, per cui si sono create anche delle fratture affettive… una mamma un giorno è arrivata in lacrime a salutarci, perché le piaceva l’asilo e le maestre, ma non sarebbe più riuscita a portarci il figlio piccolo, abitando dall’altra parte del ponte.

Un cliente dei miei fratelli ha la mamma anziana che vive dall’altra parte del ponte. Prima, nella pausa pranzo, poteva andarla a trovare e gli bastavano pochi minuti per fare quei duecento metri di strada che separano l’ufficio dalla casa della madre, ora non lo può più fare, gli ci vogliono ore.

Anche le piccole cose di ogni giorno sono diventate più difficili, come fare la spesa, andare in piscina… E poi bisogna anche sperare di non ammalarsi o aver bisogno di un’ambulanza perché gli ospedali e il pronto soccorso sono dall’altro lato… e tutto solo perché tutte le strade passano lì, sotto al ponte.

Ma comunque, nonostante le difficoltà, l’uomo è un animale che si adatta…i disagi ci sono, ma ci si organizza a superarli, c’è chi si alza prima per andare a scuola o raggiungere il posto di lavoro, chi si è organizzato con altre persone per spostarsi con meno macchine e creare meno traffico… ma nelle difficoltà comunque il pensiero va sempre ai meno fortunati che su quel ponte hanno perso la vita.

Il ponte, crollando, per la Valpolcevera, è diventato un muro, perché tutto quello che si trova a monte è rimasto isolato; bisogna andare per forza a Bolzaneto per recarsi nel centro di Genova.

Per chi abita in altre zone di Genova, come nei quartieri di levante, il ponte era la porta di uscita da Genova, perché lo si percorre per andare a ponente, verso la Francia oppure per la montagna, verso Piemonte e Valle d’Aosta.

Ma per noi della Valpolcevera era tutto, perché le nostre strade passavano tutte lì sotto!

Quello che più fa rabbia è che da sotto erano anni che si intuiva che non avrebbe retto tanto. Il comitato di quartiere lo ha sempre denunciato che si sgretolava e cadevano pezzi da sopra. In Valpolcevera ha sempre destato sospetti e preoccupazione fin da subito. Tra ragazzi circolava anche una leggenda per cui parlare sotto il ponte portasse sfortuna, infatti, se per andare a scuola capitava di prendere il treno che faceva quella tratta, nel preciso momento in cui passava sotto il ponte, tutto il treno si zittiva, per poi ritornare al solito brusio dopo averlo passato.

 

 

Fonte immagine: adnkronos.com