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Parlare di sè per parlare degli altri. L’intervista ad una docente

Dall’ossessione per il voto alla figura dell’insegnante, un umano in carne e ossa, la professoressa Averna discute del suo rapporto con gli alunni e col sapere.

Insegna da molti anni, ne aveva solo 24 quando ha cominciato come insegnante di conversazione francese. Ricorda che i ragazzi inizialmente erano molto educati, che la adoravano, e che hanno continuato così fin quando non ha ottenuto il potere del voto, diventando docente di cattedra: “Da quel momento in poi, hanno cominciato a vedermi quasi come una nemica, ossessionati dal voto”.
“C’è di più dietro un numero, dietro l’apparenza-sottolinea- talvolta manca la sostanza: gli alunni spesso non si fidano e tergiversano parole, rovesciano situazioni”. Sorridendo parla di quando chiede agli alunni di dirle ciò che realmente pensano e poi si sente rispondere, “prof, vuole che dico quello che penso ma quando lo dico, poi s’offende!’‘.
“Nessuna offesa, in realtà – ribatte- spesso noi insegnanti abbiamo solo i nostri metodi, dei percorsi che vogliamo seguire”.
“Parlare di sé per parlare degli altri, come scriveva Montaigne nei suoi Essais: anche i professori più svampiti hanno i loro obiettivi didattici, anche se sembra che non sappiano dove andare a parare, conoscono le tappe da attraversare” conclude.
Fa riferimento anche ai social media, un’arma a doppio taglio: “Ora come ora, basterebbe prendere un cellulare e lasciare Siri farti da insegnante, ma non è forse meglio avere una donna vera, con poca più esperienza?” riflette.
“Non ho la scienza infusa, ma ho vissuto abbastanza da poterti indicare la via più semplice per raggiungere il sapere, che non è mio, ma tuo e nostro.”
“Non sono perfetta, esistono brutti momenti, esistono le malattie e sarebbe assurdo far finta che io lo sia, quando non lo sono -ci tende a precisare- se un alunno vede che anch’io soffro, come lui d’altronde, sa che posso capirlo, e che lo capisco”.
È un gran lavoro ma la professoressa Averna dice di “dare, dare, dare” per far raggiungere la sufficienza ai suoi alunni. “Sono sacrifici, sia loro che miei, mille compiti da correggere, ma questa è la mia linea”.
“Capisci, quanto diventi ridicola la questione del voto e come sia necessario andare oltre l’apparenza?”, poi sdrammatizza dicendo “Se prendo 110 e lode in russo e il russo io nemmeno lo so, preferisco prendere 0 in francese, ma essere sicura di saperlo”.
Non pensa il sistema scolastico sia una vera motivazione a questa mania del voto.
“Sapere è sempre: sul treno o al supermercato, non solo il giorno dell’interrogazione…e poi c’è solo che da stare tranquilli, che il voto viene col sapere”.

di Cristina Marcut