Genova more than bridge

Il 14 agosto 2018 è uno di quei giorni che rimangono tragicamente tatuati nella memoria collettiva: ognuno ricorda precisamente cosa stava facendo nell’istante in cui ha assistito al crollo del Ponte Morandi o ha appreso la notizia. C’è chi si trovava in prossimità dell’incidente, chi è stato raggiunto  dalle telefonate preoccupate di amici e parenti, chi lo ha saputo solo accendendo la tv e non voleva credere ai propri occhi.

“Quando è successo ero proprio sotto il pilone di via Fillak, quello che è rimasto in piedi – ricorda Johann – ero con mio padre, stavamo andando in un ufficio per le pratiche della cittadinanza. Ricordo il rumore, la confusione, le sirene. Non capivamo niente, ma avevamo paura. Siamo scappati attraverso una scorciatoia che va verso le colline. Abbiamo capito solo quando siamo arrivati a casa e abbiamo acceso la tv: sono rimasto scioccato”.

Ci sono poi Jenny, che racconta il terrore di sua nonna nel vedere le auto precipitare proprio davanti alla finestra, Serigne e Nicolò che hanno vissuto personalmente l’esperienza di dover abbandonare la propria casa e trasferirsi in un nuovo quartiere, scegliendo però di non cambiare scuola “perché gli amici sono ancora tutti qui e, piuttosto che perdere anche loro, ci alziamo prima al mattino”.

“Ero al computer quando, dopo un boato, si è spento tutto: l’intero palazzo era al buio”, ricorda ancora Cristiano, mentre Giorgia, che il giorno del crollo si trovava in vacanza in Sicilia, non dimenticherà il senso di smarrimento provato la prima volta che, tornata a Genova, ha visto con i suoi occhi “il ponte che non c’era più”.

Ogni ricordo, ogni racconto crea un vuoto dentro le persone che sono cresciute all’ombra di quello che per il quartiere era semplicemente “il ponte”. Si rivivono  il dolore per chi ha perso la vita, per chi è stato  privato degli affetti più cari, ma anche le emozioni provate in quei giorni. Serena e Ilary raccontano di aver provato “tristezza per le vittime, ma anche per la città, che ha perso una grande via di comunicazione, rabbia perché questa catastrofe si poteva evitare, paura che qualcosa del genere possa accadere ancora”.

Il pensiero di Simone va ai sopravvissuti, ai segni che porteranno per sempre dentro di loro: “mi vengono i brividi a pensare a quello che hanno provato mentre aspettavano i soccorsi o mentre tutto attorno a loro crollava. Chissà cosa ha pensato l’autista del furgone della Basko, che si è fermato proprio davanti al baratro, e come si sente ora”. Jeremy esprime invece l’incertezza  per il futuro, nel vedere i monconi del ponte ancora in piedi.

Dopo il ricordo, è però proprio sul domani che si concentrano i pensieri: “Genova dopo la tragedia del ponte è andata in crisi e tutti insieme dobbiamo aiutarla a ripartire – dicono Martina, Kejsi e Laila -. Secondo noi è giusto ricostruire velocemente il ponte, per dare alle persone l’opportunità di muoversi, però dovrà essere molto più sicuro, perché una disgrazia così non deve più succedere”. Le parole “insieme”, “futuro”, “rinascita” vengono ripetute anche da Daiana, Sofia e Michaela.

Da queste parole, quindi, si ricomincia: Ponte Morandi, per alcuni  il Ponte di Brooklyn, per i più semplicemente “il ponte” sarà per sempre legato a ricordi ed emozioni contrastanti: i viaggi con la famiglia, le vacanze, la vita quotidiana che vi scorreva sopra e sotto, poi quel 14 agosto, il dolore,  lo sgomento, la paura. E adesso, senza dimenticare, la voglia di ripartire insieme: Genova  è più di un ponte.

Classe 1c