Árpád Weisz, per non dimenticare

 

Tra i primi del ‘900 ed il 1956, l’Ungheria era una fucina di talenti calcistici non indifferente. Uno su tutti il nome di Puscas, uno che alla palla dava del “tu”.
Qualche anno prima, per le strade di Solt, un furetto di nome Árpád, correva a perdifiato dietro ad un pallone che rotolava.
Questo bambino divenne poi un’ottima ala, autoritaria e affidabile, che fece capolino anche nel nostro campionato.
Árpád, il fenomeno, lo fece in panchina però, prima come vice all’Alessandria poi scrivendo la storia.
Andò all’Inter, squadra nata con l’intento di accogliere personalità internazionali. “Lui era l’antesignano di ogni ‘special One'”, dirà “L’avvenire” su di lui.
A 34 anni, nella stagione 1929-1930, divenne l’allenatore più giovane a vincere un campionato di serie A. Era solo l’inizio, l’inizio di Árpàd Weisz.
Secondo posto in B col Novara, storica salvezza a Bari, tanto che gli hanno intitolato anche una piazza, poi il Bologna con il quale vinse campionati e si permise il lusso di battere i maestri del calcio, gli inglesi del Chelsea, 4-1.
A lui l’Italia piaceva parecchio, amava Milano dov’era tornato anche nel biennio ’32-’34, i figli avevano nomi italiani e lui non ne voleva sapere di andarsene.
Poi iniziano a cambiare nomi, il suo diventa Arpad Veisz, la moglie Ilona diventa “Elena”, l’Inter diventa “Ambrosiana Inter”. È la progressiva applicazione delle leggi razziali in Italia. Ma si continuava a lavorare, tutto sommato.
Poi la pressione diventa troppa. In Ungheria ci sono tanti e tanti ebrei e la famiglia Weisz lo era.
Prima Bardonecchia, poi Parigi.
Inizia la peregrinazione di quello che allora era il miglior allenatore del mondo.
Arriva in Olanda, terra di rifugio per molti ebrei, e allena il Dordrecht, una squadretta di infima caratura che conduce, nel secondo anno, ad un magico quinto posto, battendo Ajax, Feyenoord e Psv.
La vita sembrava quasi “normale”, poi la storia iniziò a distruggere l’essere umano e la ragione.
Furono deportati a Westerbrok, poi la famiglia fu divisa. Ilona ed i piccoli furono uccisi in una delle malefiche docce di gas a Birkenau.
Árpád sopravvisse quindici mesi alla sua famiglia.
Poi l’orribile mente e azione umana ha posto fine alla sua vita, alla sua e a quella di migliaia e migliaia di persone.
E quindi io volevo ringraziare Árpád, per “il giuoco del calcio”, libro magico dove spiegava a noi, noi che non eravamo geniali come lui, il modo in cui vedeva uno degli sport più belli del mondo.
Grazie Árpád per aver scoperto “Peppino”, Giuseppe Meazza, grazie per aver battuto gli inglesi, grazie per l’amore che hai dato alla nostra terra.
E no, non ti dimenticheremo, non dimenticheremo lo schifo che l’uomo può fare, non dimenticheremo che tu, la tua famiglia ed altre migliaia di persone, sono state uccise solamente perchè ebree, non dimenticheremo la tua modestia, non dimenticheremo il male che c’è stato ed il sangue che è stato versato ingiustamente.

 

Arnaldo Di Fraia