La mia vita dopo il crollo del Ponte Morandi

Il 14 agosto 2018 è una data che difficilmente i genovesi dimenticheranno.

In questo giorno durante un violento temporale estivo è caduta una parte del Ponte Morandi. Il crollo di questi 240 metri di cemento e asfalto ha messo in ginocchio la nostra città.

In seguito al crollo sono decedute 43 persone di età differente, con sogni e storie altrettanto diverse ma unite in un unico tragico destino.

Genova è stata per diverso tempo tagliata in due. I mesi successivi alla tragedia sono stati molto duri: per gli sfollati che hanno perso la casa, per la viabilità, per i cittadini della Valpolcevera che hanno dovuto alterare la loro routine famigliare e soprattutto per il dolore e la desolazione provata.

Numerosi sono stati i gesti di solidarietà e preghiera che si sono svolti in memoria di questa tragedia.

La prima volta che ho visto il ponte crollato ero in compagnia di mio padre in Via Perlasca, una delle strade bloccate dal crollo.

Il troncone est del Ponte Morandi incombe sulle case della Valpolcevera

Ricordo il silenzio assordante. Nonostante fossero presenti numerose persone, si udivano solo i garriti dei gabbiani sul torrente. Noi tutti eravamo ammutoliti, con il cuore gonfio di dolore: pregando ci chiedevamo come fosse possibile tutto ciò.

Sino a pochi mesi fa eravamo “rinchiusi’’ nella vallata ed era molto complesso andare in centro: lo si poteva  raggiungere solo con la metropolitana o l’autostrada.

Io ho vissuto in prima persona il disagio della viabilità. Nei mesi di agosto e settembre tutti i giorni dovevo recarmi a Sampierdarena per allenarmi per il mondiale di ju-jitsu ad Atene. Impiegavo circa un’ora e un quarto per raggiungere la palestra anziché i soliti 10/15 minuti.

Gli allenamenti erano sempre serali, date le temperature, quindi tornavo a casa sempre molto tardi. Ho dovuto fare i conti con una grande stanchezza sino al 22 settembre, data della gara.

Spero che presto ricostruiscano il ponte per tornare alla normalità della mia città.

D&D