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“Questo è stato”: la toccante testimonianza di Piera Sonnino

“Questo è stato” è un racconto autobiografico di Piera Sonnino, che tratta della difficile vita che lei e la sua famiglia hanno dovuto trascorrere durante la Seconda Guerra Mondiale.
E’ un manoscritto ritrovato, composto da pagine battute a macchina e conservate per quasi mezzo secolo prima di essere condivise con tutto il mondo. Piera è solo una delle tantissime vittime di quegli orribili anni, anni che, però, bisogna ricordare, sono esistiti e hanno marchiato il mondo con il loro sangue.
Quando si parla di camere a gas o Aushwitz, si pensa a luoghi lontani da noi, che non ci riguardano, ma moltissime testimonianze ci dimostrano il contrario.
Questo romanzo ci fa capire come gli ebrei, che sono stati deportati nei campi di concentramento, provenissero da tutto il mondo, perfino dall’Italia, da una città come Genova, piccola in confronto a Berlino. Nei luoghi in cui camminiamo, che vediamo tutt’ora passeggiando per le strade, hanno sofferto molte persone, molti esseri umani, genovesi che, da un giorno all’altro, sono stati costretti a rivoluzionare la loro vita.
E’ strano pensare come in posti quali la Casa dello Studente, il Mercato Orientale o piazza De Ferrari, che vengono nominati quotidianamente, siano successi così, vicende così orribili che mai ci potremmo immaginare. Basterebbe una macchina del tempo che ci riportasse nel 1944 per rivivere, con i nostri occhi, la scena in cui la famiglia Sonnino è stata arrestata. I mesi e gli anni di spostamenti, i nascondigli per cercare disperatamente di sfuggire ai nazisti, sono stati tutti vani, è bastata una denuncia per cambiare la vita di otto persone innocenti, che avevano avuto, come unico peccato, quello di essere ebree.
Questo scritto è di una potenza e di una forza straordinarie, un diario privato che si fa voce universale e riesce a dare un nome a quanto non può essere nominato.
Piera Sonnino non scrive la sua storia con l’intento di pubblicarla in seguito ed è proprio questo che la rende unica.
Attraverso le sue parole, si riescono a capire perfettamente tutte le sue emozioni e ciò che provava, senza filtri, senza bisogno di aggiunte, correzioni o manomissioni del racconto. Quest’ultimo è completo, perfetto nella sua autenticità e unicità.
La famiglia Sonnino era sicuramente molto unita, infatti, pur sapendo il rischio che correvano, hanno deciso di rimanere sempre insieme, nascondersi insieme ed essere arrestati insieme.
Ci sono delle scene molto toccanti come, per esempio, quella in cui Giorgio, il più piccolo, si stringe alla madre, come se fosse tornato indietro nel tempo, quando era ancora un bambino indifeso; quello sarà il loro ultimo abbraccio, soffocato dalla morte.
Piera rimarrà, per quasi tutta la storia, in pensiero per i suoi familiari, prima viene allontanata dai suoi fratelli e dal padre, figure di riferimento per una giovane ragazza come lei, poi dalla madre, ritrovandosi sola con le sue due sorelle Maria Luisa e Bice.
E’ spaventoso osservare come, poco a poco, un pezzo della sua anima si sta sgretolando, riesce tuttavia a ritrovare conforto in Maria Luisa, la maggiore, che viene considerata come una madre, ma l’autrice non fa in tempo neppure a salutarla che è già partita, sparita per sempre tra il fango, il freddo e il gelo. Pur mantenendo la speranza sa, dentro di sé, che non la rivedrà più.
La parte più commovente è stata sicuramente quella del rapporto con Bice: la protagonista vede in lei l’ultimo soffio di vita, la famiglia ormai lontana, l’unica persona su cui fare affidamento. Quando muore, davanti ai suoi occhi, stesa su un pagliericcio, dopo mesi di lacerante agonia, non riesce neanche a provare dei veri sentimenti. Ormai è solo un automa, una macchia grigia, sola, che non può parlare con nessuno; da quel momento il suo cuore smette di battere con regolarità, i suoi ricordi si fanno confusi, staccati e impersonali. Questo è ciò che volevano i nazisti, rendere le persone dei numeri, senza più una vita, una famiglia, un passato, un presente e tanto meno un futuro.
A un certo punto, però, tutto cambia: Piera si risveglia in un ospedale e un’ infermiera le chiede semplicemente: “Come stai?”. Bastano quelle due parole, se pur pronunciate dopo tanto tempo in italiano, a ridestare paura e terrore nel cuore della protagonista, che, in preda al panico, vuole uscire subito e mettersi a lavorare, piuttosto che entrare nelle camere a gas per non uscirne più. Incredibilmente, però, ode una frase da tempo agognata, ovvero: “La guerra è finita”. E’ come se Piera, finalmente, fosse ritornata alla realtà, alla sua città, fosse ritornata a vivere.
Da quel momento riesce a riprendere in mano la sua vita, anche se, purtroppo, senza i suoi affetti, la sua famiglia.
In memoria delle sorelle chiama le figlie Bice e Maria Luisa; dopo la sua morte saranno loro che porteranno alla luce il manoscritto della madre.
Il 10 Novembre del 2018 è stata ufficialmente intitolata a Piera Sonnino, testimone della Shoah, una scalinata nel quartiere di San Fruttuoso, fra via Terralba e via Casoni.
Questa donna è simbolo di grandissimo coraggio, ha vissuto nella tristezza e nella paura, vittima di una guerra che non sarebbe neanche dovuta esistere, ma è riuscita a resistere con grande forza e a ricostruire la sua vita dalle macerie, lasciando ai posteri la sua toccante testimonianza.

Chiara Caputi