HATE SPEECH – INCITAMENTO ALL’ODIO ONLINE

Parole di odio anonime e pericolose: riconoscerle e fermarle.

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Il web è un ambiente vario e vasto, in grado di rappresentare e dare voce alle diversità, sensibilizzando sul rispetto e l’inclusione. Tuttavia proliferano anche contenuti razzisti e discriminatori, che possono pericolosamente diventare portatori di rappresentazioni stereotipate. L’Internet ormai, lo sanno tutti, ha due facce nettamente separate e opposte l’una all’altra: la prima è quella positiva, dove viaggiano informazioni, soldi (acquisti cibo/vestiario, conti bancari e scommesse sportive sono le colonne portanti) e speranze delle persone che vi pongono fiducia in cerca di lavoro e che vengono ripagate (la nascita di questo nuovo mondo cosi vasto ha portato alla nascita di innumerevoli nuovi posti di lavoro); la seconda è quella negativa, rappresentata dalle persone che del web ne fanno un uso improprio e scorretto, pur di raggiungere i propri fini, si parla dunque di: deep web (giro di informazioni top-secret, soldi corrotti e traffico di armi), hacker e “hate speech”.
Il termine “hate speech” indica un’offesa fondata su una qualsiasi discriminazione (razziale, etnica, religiosa, di genere o di orientamento sessuale, di disabilità, eccetera) ai danni di una persona o di un gruppo. ‘’Hanno dato diritto di parola a legioni di imbecilli‘’. Così Umberto Eco, qualche anno fa, aveva commentato i Social Network. Per quanto spesso contestata, questa definizione è azzeccatissima. Sì, perché se prima ogni pensiero, ogni opinione, dalla più intellettuale e dotta alla più squallida e offensiva, veniva proferita a voce, allietando o disgustando solo un gruppo ristretto di persone che ascoltavano, da un paio di anni a questa parte chiunque si arroga il diritto di scrivere anche di argomenti di cui non sa nulla. Già così sembra chiaro, insomma, come l'”hate speech” sia un fenomeno più vecchio della Rete, nonostante quando si usa oggi questa espressione si faccia riferimento in realtà per lo più all’Internet “hate speech”. La possibilità di cadere
nel discorso dell’odio, del resto, è da sempre un rischio concreto quando ci si confronta con gli altri all’interno di uno spazio pubblico, mediatizzato o non, o di dibattito pubblico.

Per diverse ragioni, comunque, gli ambienti digitali sembrerebbero più predisposti al proliferare di offese, toni esasperati e provocatori, atteggiamenti irrispettosi e discriminanti. Il primo, più tradizionale, incriminato è l’anonimato di questo tipo di ambienti: quando ci si nasconde dietro il nick e l’avatar di un profilo social, e se si è al protetto dietro i propri schermi, si avrebbero meno
remore infatti nell’esprimere anche le posizioni più estreme. In parte gli utenti tendono a sottostimare, poi, gli effetti concreti che ciò che avviene in Rete può avere nella realtà: ammesso che le due categorie abbiano ancora senso di esistere separatamente, alcuni utenti non sembrano essere abbastanza consapevoli, cioè, del profilo di responsabilità posto in essere dal loro stesso stare in Rete, né sembrano dar peso al portato socio-psicologico che offese e insulti, anche se ricevuti sul web, possono avere sui destinatari.
Esiste, però, una prospettiva di intervento che proviene invece dal mondo informatico. La società Jigsaw, incubatore tecnologico interno al gigantesco contenitore di Alphabet (azienda di sviluppo di tecnologie per la sicurezza sul web) ha lanciato a febbraio 2017 la
piattaforma Perspective, che mette gli algoritmi di machine learning utilizzati da Google al servizio della moderazione dei commenti sui siti di informazione e sui forum, che permette di eliminare commenti obbrobriosi automaticamente, di sistema. Speriamo che, almeno in questo modo, la “legione di imbecilli” possa pensarci due volte prima di armarsi di tastiera e sfoderare la propria mancanza di coraggio.

Autore

Giuseppe Cantarelli.