‘Il grande dittatore’: la recensione del film

Il film “Il grande dittatore”, diretto ed interpretato da Charlie Chaplin, tratta con ironia una delle parentesi più brutte della storia dell’umanità.

La storia inizia durante la Prima Guerra Mondiale, quando un barbiere ebreo che sta combattendo nell’esercito della Tomania salva la vita all’ufficiale Schultz. Qualche anno dopo, sotto la feroce dittatura di Hynkel, il ghetto dove il barbiere viveva subisce continui attacchi dei militari. Il barbiere, non capendo la gravità della situazione, sbeffeggia le “camicie grigie”. Proprio quando la discussione degenera, compare Schultz, salvando il barbiere dalle loro grinfie. Nel frattempo, si ampliano i piani megalomani di Hynkel, e quando Schultz si rifiuta di assecondare il dittatore viene rinchiuso in un campo di concentramento. Una volta scappato, si allea col barbiere. Da quel momento in poi, la storia è un susseguirsi di scene comiche ma simboliche, ricche di equivoci. La scena finale del film, però, fa riflettere sull’importanza della libertà e della giustizia.

I due protagonisti (Hynkel e il barbiere) sono entrambi interpretati da Chaplin. Probabilmente, questa scelta serve ad enfatizzare l’ironia della somiglianza di due personaggi totalmente opposti. Inoltre, probabilmente Chaplin riteneva particolarmente importante ricoprire entrambi i ruoli, pensando di riuscire a trasmettere le sue idee, ma pur sempre in chiave umoristica.

Nel film è messo in evidenza il legame tra dittatura e paura. Sicuramente una delle strategie più utilizzate dai regimi totalitari è il terrore, perché per salvare se stessi è quasi fisiologico obbedire e fare silenzio.

Il discorso finale, incisivo e commovente, ha “riscattato” il personaggio del barbiere, rimasto quasi muto per tutta la durata del film. Il messaggio è forte e chiaro: gli esseri umani non sono macchine, sono esseri viventi diversi ma uguali in diritti e doveri, e bisogna essere uniti per combattere la violenza.  

Giulia Zoe Carnevali, classe 3A