Il rap a Sanremo

Il rap approda sul palco dell’Ariston

Se penso a Sanremo, immagino un Claudio Baglioni resuscitato, una Patty Pravo mummificata e l’intramontabile “dirige l’orchestra il maestro Beppe Vessicchio”; ma, dopo i meme di Instagram, ricordo anche canzoni meravigliose, sentite alla radio da bambino e di cui ora non so nemmeno il titolo, solo qualche parola del ritornello.

Che noi lo vogliamo o no, ogni anno sentiamo almeno una canzone del festival, che parli di amore o di scimmie nude, tuttavia l’Ariston è sempre stato un luogo di tradizione e la musica è sempre stata abbastanza simile.

Lo sbarco del rap a Sanremo è una rivoluzione, i tre rapper partecipanti sono passati dai bui vicoli di quartiere, alle TV nelle case di tutto il mondo.

Shade

Il giovane torinese si è affermato nel rap con la vittoria nel MTV Spit, un importante torneo di freestyle.

Da lì, le sue canzoni sono vacillate fra video su youtube, rap e pop, fino alle grandi hit: “Bene, ma non benissimo” e “Irraggiungibile” feat. Federica Carta.

Purtroppo, si è presentato alla gara con una minestra riscaldata dell’ultimo successo. “Senza farlo apposta” (sempre con Federica Carta) è la classica canzone d’amore con alcune note basse alternate ad acuti spesso stonati dalla collega. Il cantante si è adattato  allo stile di Sanremo, ma, per piacere a tutti, non è piaciuto a nessuno.

Rancore

Al contrario, Rancore non è cambiato di una virgola.

Ha tolto ogni dubbio sulla sua autenticità fin da subito rivelandosi sul palco con il classico cappuccio sul cappello da baseball.

Duettando con Daniele Silvestri, non cura solo la musica, ma anche la teatralità: rimane con la testa su un tavolo finchè non arriva la sua parte, si sveglia di colpo e ricopre il pubblico di quei versi e quelle rime che devi ascoltare più volte per capire.

Con un ritornello umile che non serve a sventolare la loro voce, la loro canzone “Argentovivo” si è aggiudicata il premio della critica.

Achille Lauro

Si è tenuto i vestiti addosso, ma il trapper Achille Lauro è riuscito comunque ad attirare l’attenzione.

La sua canzone “Rolls Royce” non è né rap né pop, è puro è semplice rock, un genere nuovo per lui.

Come in tutte le sue canzoni, il testo è così strano da sembrare trascurabile, mentre il ritmo e la base di Boss Doms rendono il pezzo un successo.

Tuttavia, i giornalisti hanno impiegato un solo giorno per trovare un’interpretazione all’apparente non sense.

Le pasticche di ecstasy sono marchiate dall’acronimo RR, per cui nel gergo sono chiamate Rolls Royce, quindi la canzone è stata letta come un inno alla droga.

A supportare questa ipotesi, sono nominati molti personaggi famosi che hanno avuto problemi con gli stupefacenti.

Il web è esploso perché tutti volevano esprimere la loro opinione, dalle pagine di meme a Matteo Salvini.

Conoscendo gli album precedenti di Lauro, mi ero stupito che “Rolls Royce” neppure accennasse agli sballi; questa analisi non mi sembra inverosimile, ma non credo che per essa si debba criticare Achille Lauro.

Una persona non inizia a drogarsi per aver sentito un pezzo e, se lo fa, vuol dire che è così fragile che i testi delle canzoni sono l’ultimo dei suoi problemi.

Se c’è qualcuno che dovrebbe tutelare questo aspetto della gara, è il direttore artistico Claudio Baglioni. Da vero conduttore, ha messo le mani avanti dichiarando che la droga è l’unica materia in cui è ignorante, ma è logico pensare che abbia permesso al trapper di gareggiare per far scoppiare un boom mediatico.

Emis Killa

Un grande apprezzamento va anche a lui, che, nonostante fosse stato invitato come ospite speciale, ha rifiutato, perché sarebbe stato costretto ad addolcire il testo del successo “Fuoco e Benzina”.

di Tommaso Wegner 3F
(Il Giornalotto del Liceo Volta, numero3/2019)