L’Oblomov di Ivan Goncarov: una recensione

 

Di recente fa ho partecipato ad una conferenza con Agnese Moro, figlia dello statista Aldo Moro, e Franco Bonisoli, ex brigatista e membro del gruppo che rapì lo stesso Moro. Durante l’incontro, in cui sono stati affrontati temi quali violenza, giustizia, misericordia e libertà, Agnese Moro ha utilizzato una singolare metafora per spiegare la condizione di immobilismo in cui versava dopo l’improvvisa scomparsa del padre. Ha infatti affermato che si sentiva come prigioniera in una goccia d’ambra; intrappolata da sentimenti di odio e rancore che si ripresentavano quotidianamente e di cui nemmeno lei pareva accorgersi. Questo suo stato di inerzia mi ha fatto tornare in mente un libro letto tempo fa: Oblomov, dello scrittore russo Ivan Goncarov.

Il romanzo – scritto nel 1859 come critica alla classe nobiliare russa – tratta di Il’ja II’ic Oblomov, un proprietario terriero che trascorre le sue giornate senza compiere alcuna attività particolare, paralizzato nella sua insuperabile apatia per tutto e tutti. La sua incapacità di reagire e scegliere fa sì che questo anti-eroe risulti molto umano e simile a noi nelle sue debolezze e difficoltà. Ciò rende molto facile l’immedesimazione da parte del lettore che, dunque, riesce a capirlo e ad apprezzare meglio le sue caratteristiche psicologiche.

Il torpore esistenziale di Oblomov si attenua solo quando egli conosce Ol’ga, di cui si innamora perdutamente e con la quale inizia una relazione che lo porta, seppur momentaneamente, a dedicarsi attivamente e con passione a qualcosa. Ciò mi riporta inevitabilmente al discorso di Agnese. La donna ci ha spiegato come, solo grazie all’aiuto di persone che si sono rese conto del veleno che la teneva prigioniera, sia riuscita a intraprendere un percorso che le ha permesso di avere un po’ di serenità e pace. Le vicende di Oblomov e Agnese hanno, però, una conclusione alquanto differente. Infatti, se la signora Moro ha ripreso a vivere libera da oppressioni e angosce, il nostro protagonista ritorna inevitabilmente a una condizione di oblomovismo. Un personaggio negativo, dunque? In realtà, alla fine del libro si riesce a maturare un giudizio etico e morale di Oblomov e il personaggio non risulta al lettore così pessimo. Anzi, la sua forza è proprio quella di riuscire ad essere sempre coerente con se stesso e in linea con i propri ideali. Egli è infatti fermo nel voler vivere la sua vita secondo le sue inclinazioni nonostante queste non siano sempre adeguate rispetto all’opinione comune. Questo non fa altro che accentuare la sua estraneità da una collettività a cui non sente di appartenere, rompendo le convenzioni sociali predefinite che imperavano nella classe dirigente russa dell’epoca, ormai prossima a scomparire.

In conclusione, consiglio vivamente la lettura di questo romanzo. Infatti, nonostante sia sicuramente difficile e lento in diversi punti, credo che questo libro sia l’ideale per iniziare a conoscere e ad approcciarsi alla letteratura russa, a mio parere una delle più interessanti e affascinanti, in quanto Goncarov influenzò diversi autori tra cui anche Dostoeskij e Tolstoj.

di Elena Tagliabue 4D
(Il Giornalotto del liceo Volta, numero3/2019)