L’attimo fuggente

Fuori piove e il vento sbatte rumorosamente sulle persiane delle finestre, facendoti sobbalzare all’improvviso per lo spavento. È la settimana di Pasqua e vorresti trovarti dovunque piuttosto che qui, in una casetta sperduta in montagna, ospite da un’amica di tuo padre. Sono ore che la noia ti tormenta, costringendoti a vagare per l’angusto spazio in cui ti trovi racchiusa, quando finalmente quell’amica che stavi iniziando a maledire silenziosamente ti propone di guardare un film in cassetta con il suo vecchio videoregistratore. Rovisti affannosamente, scartando i cartoni animati della Disney e le commedie di Checco Zalone, per ritrovarti in mano “L’Attimo Fuggente” di Peter Weir. Sai di averlo già visto, ma ricordi soltanto qualche frammento: dei ragazzi riuniti in una grotta a notte fonda, un collegio americano dall’educazione alquanto severa, ma sopratutto un eccentrico professore, interpretato dal brillante Robin Williams, la cui recitazione non ti ha mai deluso. È così che inizi a guardare un capolavoro che dal 1989 ha lasciato nell’immaginario collettivo scene indelebili, come quella finale, in cui gli studenti salutano il professor John Keating in piedi sui banchi, gridando “O Capitano, mio Capitano!” e riscopri in modo completamente nuovo quelle emozioni che avevano impedito alla tua mente di cancellarne totalmente le tracce. All’accademia Welton di stampo elitario e conformista, l’approccio didattico è rigido ed esigente; almeno fino a quando non arriva il nuovo insegnante di letteratura il cui comportamento stravolge la disciplina sino ad allora impartita dalla scuola. Con il suo entusiasmo e i suoi metodi stravaganti dimostra ai ragazzi che la poesia non è una questione di aritmetica o geometria, ma si identifica con il sentimento e la vita stessa dell’uomo; coinvolge e trascina a tal punto che sette dei suoi alunni decidono di (ri)formare la Deads Poets Society, un gruppo clandestino in cui scambiarsi la lettura di versi propri o altrui, che già era esistito ai tempi del professore (e di cui lui aveva fatto parte). Sebbene l’insegnamento di Keating non sia visto di buon occhio dal preside e dai genitori, questo riesce ad infondere ai ragazzi il coraggio di seguire le proprie passioni, di difendere i propri sogni e di vivere ogni giorno con un po’ di poesia. Non sempre però ciò risulta semplice e spesso per realizzare un desiderio ci si trova costretti ad andare contro la propria famiglia.
Così, accovacciata su una poltrona dal vago odore di naftalina, segui animatamente le vicende del timido Todd, le gravi difficoltà del rapporto di Neil Perry con suo padre e le lezioni del professore che ogni studente desidererebbe e ti lasci trasportare dalle molteplici emozioni che la sceneggiatura di Tom Schulman riesce a regalarti.
Solo quando i titoli di coda iniziano a scorrere sullo schermo nero ti accorgi che fuori ha smesso di piovere già da tempo. Con ancora un retrogusto singolare negli occhi e una sensazione insolita nel petto esci fuori dal rifugio, per prendere una boccata d’aria fresca. “Che v’è di nuovo in tutto questo, o me o vita?” riporti alla mente così le parole citate all’inizio del film da Robin Williams, “Che tu sei qui, che la vita esiste. Che il potente spettacolo continua e che tu puoi contribuire con un verso”. O con un film come questo…

Alessia Priori / 3B Liceo Classico Galileo di Firenze