Videodrome – Gloria e vita alla nuova carne

Videodrome è un film del 1983 scritto e diretto da David Conenberg, già autore di grandi cult come “La mosca”, “La zona morta” (tratto dall’omonimo libro di Stephen King) e “Scanners”.
Il film, anche se ormai di trentacinque anni fa, tratta un tema a noi nativi digitali molto vicino, oltre che attuale, ovvero il rapporto tra uomo e tecnologia, in questo caso concentrandosi principalmente sulla televisione e sulle conseguenze che essa ha sulle nostre vite.
Videodrome racconta la storia del proprietario di una rete televisiva, Max Renn, specializzata nel trasmettere film per adulti, pornografici e molto violenti, che un giorno viene a sapere di un programma chiamato appunto Videodrome, che rispecchia perfettamente ciò che desidera lui e ne rimane attratto. Il protagonista, però, sarà dopo poco tempo immerso in sogni ad occhi aperti ed allucinazioni, provocate da un virus rilasciato proprio dallo stesso programma che infetta chi lo guarda. Renn sarà quindi immischiato in un piano per uccidere e controllare le persone facilmente influenzabili da Videodrome, proprio come lui stesso, e cambierà piano piano durante tutta la durata del film, mostrando una vera e propria mutazione.
Il regista, con un film d’intrattenimento indipendente ben fatto, racconta una storia in cui ancora una volta, come in altri suoi lavori, è seguito un percorso che tratta il tema del cambiamento (in questo caso la mutazione tra uomo e macchina). Videodrome è inoltre un film contro la censura, un problema a cui negli anni precedenti era venuto a scontrarsi lo stesso Cronenberg, che riesce a mio parere, nonostante non abbia portato nelle sale di tutto il mondo un capolavoro, a rimanere attuale anche dopo alcune decine di anni. Inoltre David Cronenberg, regista tra i più amati ed odiati nel panorama del cinema d’intrattenimento, continua a vivere nell’immaginario collettivo con i suoi grandi cult, dopo essere riuscito a far rimanere alto il suo nome, girando pellicole che oltre al dover intrattenere danno sempre anche uno spunto di riflessione.

Edoardo Merlini / 1F Liceo Classico Galileo di Firenze