La tecnica citofluorimetrica spiegata da un esperto

Di Nastasi Sara Isabo

La tecnica citofluorimetrica ci consente di analizzare un campione cellulare trattato con coloranti specifici in grado di discriminare i differenti tipi cellulari. Nell’Istituto Superiore di Sanità è presente una facility di citofluorimetria equipaggiata con strumentazioni di ultima generazione e con personale specializzato a servizio dei diversi ambiti di ricerca a cui è possibile applicare questa metodologia.

Oggi abbiamo intervistato il direttore di questa facility, il Dr. Massimo Sanchez.

– In parole semplici, Dr. Sanchez, in cosa consiste la tecnica della citometria?

Qualsiasi popolazione cellulare è dotata di specifiche proteine sia all’ interno sia sulla superficie della membrana descritte come marker cellulari. Ciascuna sospensione cellulare viene dunque trattata con anticorpi specifici per il marker in questione coniugati a coloranti fluorescenti che, all’interno del flusso laminare intersecato da una sorgente luminosa, vengono acquisiti e memorizzati dalla macchina e quantificati. Questa metodica consente di determinare diversi parametri cellulari come le caratteristiche immunofenotipiche o l’analisi del ciclo cellulare della popolazione marcata. Questo tecnica eseguita con differenti parametri ci consente anche di separare la popolazione d’interesse dal resto della sospensione cellulare.

In quali ambiti viene utilizzata e con quali scopi?

Si possono distinguere due ambiti generali, la diagnostica e la ricerca.

A livello diagnostico tecniche standardizzate consentono valutazioni su campioni da paziente per individuare possibili patologie. Per esempio a livello ematico si possono individuare anomale popolazioni linfocitarie o mieloidi causa di malattie del sangue. Gli utilizzi per scopi di ricerca sono invece molto più ampi. Per esempio in ambito ematologico si può individuare nel campione del paziente l’amplificazione atipica di un particolare tipo cellulare o la presenza di cellule staminali. Si possono valutare alterazioni indicanti lo stress ossidativo cellulare o ancora i ambito immunologico si può individuare in maniera veloce e precisa l’espansione di specifiche popolazioni sintomo o segnale di un processo infettivo in atto. Sempre in campo biomedico si può analizzare l infiltrato tumorale nel caso di tumori solidi per caratterizzarne la popolazione di cellule neoplastiche. Definire al meglio le caratteristiche di una popolazione patologica è importante anche per lo sviluppo di terapie mirate come per esempio quelle effettuate con i CarT, una specifica popolazione di linfociti T geneticamente modificata e capace di aggredire in maniera mirata le cellule tumorali. La ricerca in ambito biomedico è vastissima e offre diverse applicazioni di questa metodica.

Grazie proprio alla sue estrema versatilità può essere applicata anche a ambiti differenti come quello ambientale o agroalimentare; per esempio attualmente esistono sistemi per poter individuare le possibili contaminazioni da antibiotico nel latte oppure eventuali contaminazioni batteriche nelle acque.

Qual è esattamente il tipo di lavoro che lei svolge con questa tecnica e quali risultati pensa di ottenere?

Al di là del mio coinvolgimento dei diversi progetti dell’ istituto io personalmente sto concentrando le mie ricerche sulla tipizzazione delle diverse popolazioni cellulari presenti in campioni di tessuto adiposo estratti da paziente sano con diverse metodiche, ai fini di stabilire il potenziale rigenerativo delle diverse popolazioni. L’obiettivo di questa ricerca è individuare la sottopopolazione più idonea da utilizzare nel campo della medicina rigenerativa.

– Qual è stato il suo percorso di studi e quali sono state le tappe fondamentali della sua carriera?

Mi sono laureato a Napoli in scienze biologiche ed ho effettuato il tirocinio nell’istituto di Biochimica del II Policlinico di Napoli, in seguito sono a andato a lavorare alla Columbus University a New York per qualche anno e poi ho conseguito il Dottorato in Biochimica sempre all’ università di Napoli. In fine nel ’94 sono venuto a lavorare qui a Roma nell’Istituto Superiore di Santità dove ho cambiato ambito di ricerca da quello oncologico a quello ematologico.