LETTERA A MADRE LIBERTÀ

Ciao mamma, come stai?

Sono tuo figlio, Ahmed, ti ricordi di me? Spero di sì, anche se non ci vediamo da un po’ di tempo e, purtroppo, ti sento molto lontana. Io e mio fratello, circa due mesi fa, ci siamo visti “strappare di dosso” il cuore. Ti starai chiedendo come si può estrapolare un cuore lasciando un uomo vivo. Beh i soldati siriani ci sono riusciti.

Gli uomini con l’elmetto verde hanno ucciso papà in una sera d’estate; eravamo sdraiati sul nostro piccolo prato davanti casa e guardavamo le stelle. Papà ci stava narrando la tua storia, mamma, di come sei scomparsa in una giornata di sole facendo ciò che amavi: insegnare. Non ci è mai stato rivelato il tuo nome, papà ti ha sempre chiamata “la mia signorina Libertà” ed è per questo che, anche io, oggi, ti voglio chiamare così. L’unico ricordo che ho di te, un po’ sfocato e confuso, è la tua voce che, con amore, leggeva le pagine del libro “Il gabbiano Jonathan Livingston”.

Ho una frase impressa nella mente: “Vola solo chi osa farlo”. Dopo di te nessuno più l’ha pronunciata, dopo di te nessuno più mi ha parlato con il cuore in mano e non ho più sentito il calore dell’anima. Ti ho cercata negli uccelli che, negli anni, hanno popolato il mio cielo, nel colore dei fiori in primavera, nella luna che mi fissava, quasi come fosse stata lei a voler delle risposte da me. Ma come può un bambino di quattordici anni dare delle risposte al mondo?

Sono cresciuto troppo in fretta, mamma, prima la tua scomparsa, poi la fredda e dura morte di papà, sembra che in questo mondo non ci sia più spazio per l’amore. Io ed Ismael ci crediamo ancora però, crediamo ancora che possa esistere una speranza per tutti e che, prima o poi, arriverà anche la nostra opportunità per vivere. Lui ha preso le redini della famiglia, o meglio di ciò che è rimasto di essa; penso che il suo coraggio sia dovuto alla sua maggiore età e così, quando sono triste e mi chiudo in me stesso, lui mi rassicura dicendo che, alla fine, la famiglia non è un qualcosa di concreto, ma è un concetto astratto, che si realizza soltanto quando riusciamo a sentire l’amore che gli altri ci trasmettono e che quindi noi saremo per sempre una famiglia.

Escono sempre belle parole dalla sua bocca, è nato per rassicurare gli altri, per aiutarli nel momento del bisogno e forse proprio per questo, quando doveva iscriversi all’università, ha scelto proprio psicologia dove si è laureato con il massimo dei voti. Avresti dovuto vedere la faccia di papà, gli occhi gli esplodevano d’orgoglio ed il suo sorriso era grande quanto tutta l’Africa.

Ismael qualche settimana fa ha fatto irruzione nella mia stanza dicendomi che, di lì a poco, saremo partiti per l’Europa. Così, circa dieci giorni dopo, ci siamo imbarcati a notte fonda ed in silenzio, perché altrimenti ci avrebbero lasciati lì. Siamo stati circa tre giorni in navigazione, quasi cullati dalle onde del mare, con il vento freddo che batteva imperterrito contro i nostri petti. Il secondo giorno la barca ha iniziato aver problemi e siamo stati costretti a buttare in mare tutti i nostri averi, sempre in silenzio, senza dire una parola. Io non ce l’ho fatta, ho tenuto con me il libro che mi leggevi sempre ed una penna che avevo portato con me contro la tristezza.

Vorrei diventare uno scrittore, mamma; vorrei scrivere di ciò che mi circonda, narrare storie, perdermi negli occhi di qualcuno ed esplorare il mondo che ha dentro, per poi rinchiuderlo in un centinaio di pagine. Un giorno magari scriverò di questo viaggio e di come io sia approdato nella terra dei grandi pensatori, dei grandi letterati. O forse no mamma, non lo so, ho paura. Siamo bloccati da cinque giorni al largo delle coste siciliane; dopo che la nostra barca si è ribaltata degli uomini con una nave immensa sono venuti a salvarci. Ismael li ha chiamati “portatori di pace”. Ora siamo dentro la loro barca da quasi sei giorni e non riesco più a capire cosa sia bene e cosa sia male. Papà diceva che i siciliani hanno il sole dentro, che sono persone aperte, ma forse si sbagliava, magari, insieme al mondo, sono cambiati anche loro. Fabrizio, uno dei tanti volontari presenti sulla nave, si sedeva accanto a me, cantava una canzone di un noto cantautore italiano che, a quanto pare, portava il suo stesso nome. La canzone diceva: “ …e adesso aspetterò domani, per avere nostalgia, signora libertà, signorina anarchia…”.

Fabrizio crede troppo in ideali ormai morti in Italia e, per questo, non gli è stato più concesso di stare a contatto con noi migranti, o almeno così mi ha detto. Mamma, che bella parola che è “migrante”, colui che migra come gli uccelli, gli esseri più liberi della Terra. Mamma io oggi mi sento un migrante, non un immigrato, né un emigrato, io oggi voglio essere un sognatore, voglio poter guardare la vita negli occhi e dirle che vincerò io. Sono sdraiato per terra, con una mano appoggiata alla testa e fisso questo cielo stellato. Strano come le stelle siano uguali in ogni angolo del mondo, riesco quasi a sentire l’odore di casa. Il vento fa muovere i miei ricci ribelli ed io, per un attimo, penso che la vita è tutta qui, in questo soffio di vento, in quest’aria che, piena di salsedine, mi entra dentro i polmoni. Vorrei essere un uccello e volare su questo cielo limpido, libero finalmente da qualsiasi vincolo, uguale a tanti altri, ma felice di fare ciò che amo.

Mamma Libertà, ti ho incontrata nello sguardo distratto di papà che, per tutti questi anni, senza saperlo, ti ha chiamata come la protagonista di una canzone italiana; ti ho vista nel battito d’ali delle colombe che al mattino riposano nella nave ed ora, se chiudo gli occhi, riesco a scorgere il tuo viso. Ho deciso di farmi giustizia da solo, questa volta non permetterò che gli altri decidano per me, questa volta voglio assicurarmi il diritto alla vita. Chiudo gli occhi, spero che queste mie parole, un giorno, arriveranno a qualche altro bambino in cerca di libertà. Il mio corpo è stanco mamma, sto per arrivare da te.

Con affeto e nostalgia,

Ahmed

Anna Di Franco IV AL