“IL BUIO DIETRO LA LUCE”

Tutto ha una causa.

D’altronde, un fiore nasce sempre da un seme, le onde nascono sempre dal vento. C’è sempre un filo conduttore, anche se le due estremità si trovano a secoli di distanza.

Oggi provo a tirare un po’ quel filo.

Vivo nel Duemila e mi ritrovo nel Millenovecento. Cammino per le strade, respiro una nuova aria. Passo dopo passo mi accorgo che sono ben costruite.

Mi chino per raccogliere un giornale caduto per terra, lo sfoglio con stupore.

In prima pagina trovo la foto di una ragazza a bordo di una Fiat. È un nuovo modello, vedo che tutti gli uomini ne sono attratti.

Entro in un negozio.

È molto ampio, mi sarei aspettata una piccola bottega. Un uomo compra un giocattolo per la sua bambina, una donna chiede invece di poter pagare a rate il nuovo ferro da stiro.

Esco dal negozio e vedo un gruppo di bambini sulle loro biciclette venirmi incontro. Uno di loro mi sfiora. Sorrido.

Mi avvicino ad una casa, sento una radio accesa. Degli uomini parlano di un viaggio intercontinentale a bordo di una nave.

Passo avanti, giro per le case, noto gente china sui libri e bambini raggomitolati alle loro madri per il freddo. Da una finestra mi raggiunge l’odore di buon cibo.

Scende la sera, comincia il buio. Gli uomini ritornano dalle loro famiglie, ogni ape raggiunge il suo alveare. Le vie sono ben illuminate, il cielo è sereno.

Ma non mi fido. So che dietro ogni luce si nasconde un’ombra.

Me ne accorgo quando sento due uomini sul fondo della strada discutere.

Non posso avvicinarmi molto, ma afferro due parole: leggi razziali.

E allora mi ricordo.

Mi ricordo perché il termine “Belle Epoque” è il paradosso più grande dell’universo.

Non nasce solo l’automobile, non nasce solamente la radio, ma viene piantato uno dei semi che darà vita ad un albero le cui radici saranno difficili da estirpare.

Ecco che affiora il nazionalismo.

Ecco che emerge il razzismo.

La grande tensione dell’uomo verso l’infinito, verso quei limiti invalicabili lo porta a sprofondare in un profondo abisso.

Si comincia a puntare un dito verso il diverso.

Poi si comincia a puntare un fucile.

Regna la supremazia, governa la superiorità.

Tiro un altro po’ il filo, e mi pento di averlo fatto.

Millenovecentosedici: adesso governa la guerra.

Nessun bambino mi viene incontro con la bicicletta, i sorrisi vengono sostituiti dai pianti. L’odore del buon cibo viene meno, e non sento più risate per le strade.

Adesso capisco perché rimpiangono la cosiddetta “Belle Epoque”.

Perché la madre della guerra non aveva ancora partorito; si nascondeva sottoterra, al buio.

Ma la scadenza era terminata, il bambino era stato nutrito.

È nato alla luce del sole, anche se cresciuto dietro un’ombra.

Benedetta La Ferla VAL