Intervista ad un membro comunità di Sant’Egidio

La comunità di Sant’Egidio è un’organizzazione laica di ispirazione cristiana cattolica. Nasce a Roma nel 1968 per iniziativa di Andrea Riccardi che, comincia a riunire un gruppo di liceali, com’era lui stesso, per ascoltare e mettere in pratica il Vangelo. Nel giro di pochi anni la loro esperienza si diffonde in diversi ambienti studenteschi e si concretizza in attività a favore degli emarginati. Nei quartieri popolari della periferia romana inizia il lavoro di evangelizzazione che porta alla nascita di comunità di adulti.

Nella seconda metà degli anni Settanta, la Comunità comincia a radicarsi anche in altre città italiane e, poi negli anni Ottanta, a diffondersi in Africa, America e Asia. Sin dalle origini, il servizio ai poveri e il sostegno ai diritti e alla dignità della persona caratterizza, assieme alla preghiera e alla comunicazione del Vangelo, la vita della Comunità che ha costruito forme di aiuto e di amicizia per fronteggiare diverse situazioni di povertà e disagio (anziani soli e non autosufficienti, immigrati e persone senza fissa dimora, malati terminali e malati di Aids, bambini a rischio di devianza e di emarginazione, nomadi e portatori di handicap, tossicodipendenti, vittime della guerra, carcerati e condannati a morte).

La Comunità di Sant’Egidio è costituita da una rete di piccole comunità di vita fraterna diffuse in 73 Paesi così distribuiti: Africa (29), Asia (7), Europa (23), Nord America (8), Sudamerica (5). I membri della comunità sono circa 60.000. La comunità di Roma, dove ha avuto origine il movimento, ha un ruolo di riferimento per le realtà più nuove. Ho avuto l’opportunità di intervistare dei membri della comunità stessa, per approfondire le attività e gli obiettivi di questa organizzazione.

«Signor Raffaele, come ha conosciuto la comunità di Sant’Egidio?»

«Una domenica in chiesa, al termine della celebrazione, un membro della comunità illustrò le loro attività. Siccome già da tempo sentivo l’esigenza di fare qualcosa per il prossimo presi i loro riferimenti.»

«Come è stato accolto dalla comunità

«Il mio primo incontro si svolse nella Chiesa di Sant’Agnese su via Nomentana, mi misero subito a mio agio chiedendomi di collaborare nella preparazione delle razioni da distribuire agli “amici”.»

«Potrebbe spiegarmi chi sono gli “amici”?»

«Con il termine “amici” indichiamo le persone, che vivono per strada, ai quali diamo assistenza.»

«In particolare, cosa fate abitualmente?»

«La sera inizia con la preparazione dei panini da distribuire, alle 20 ci riuniamo in preghiera e successivamente partiamo per il giro per portare da mangiare agli amici. Ci dividiamo in gruppo in modo tale che ognuno abbia una zona abituale di distribuzione, quella del mio è la stazione Termini.»

«Che tipo di persone ha avuto modo di conoscere, le hanno mai raccontato le loro storie?»

«Sono molte persone di diverse nazioni, la maggior parte sono dell’est o provengono dall’Africa. Spesso sono riservati, non amano raccontare della propria vita. Mi è capitato, però, di conoscere un profugo della guerra Siriana che aveva perso moglie e figli e con le lacrime agli occhi mi diceva che quel giorno gli era morta anche la sorella. Ho conosciuto anche alcuni padri di famiglia, che a causa del divorzio, non avendo una casa dove andare a dormire, si erano ridotti a dormire in macchina o in strutture di assistenza.»

«Che cosa ha provato nel fare queste esperienze?»

«Tornare a casa, trovarla calda, accogliente, con la mia famiglia ed un pasto pronto, mi faceva capire quanto fossi fortunato. Spesso l’uomo non si rende conto che tante cose che sembrano essere scontate, invece, non lo sono per molti altri.»

Gaia Di Biasi