Il Piatto – Racconto

Se glielo avessero chiesto, quale fosse il suo più grande desiderio, il Prigioniero avrebbe detto che voleva essere libero, e che voleva mangiarlo, non il Carceriere, no, lui non aveva così fame, ma il Piatto, quello della Madre, ci pensava ogni notte, lo sognava in ogni piccolo e minuzioso dettaglio. Più che altro pensava alla fuga, si costringeva a pensare che una volta fuggito sarebbe potuto tornare a casa, dalla Mamma, da ciò che era Prima per fare in modo che diventasse ciò che sarebbe diventato Dopo, il Futuro Presente.
La fuga era semplice, lui stesso si vergognava di non aver saputo inventare niente di meglio, nei film tutto era così rocambolesco: l’Eroe, nel caso remoto e villano di essere costretto alla fuga, sparava ai Cattivi e faceva esplodere quante più cose possibili. Il Prigioniero si pentiva quasi di non poter fare qualcosa del genere, ma poi si arrabbiava di averlo pensato e rimuginava sul fatto che la legge del taglione lo avrebbe portato solo in una situazione peggiore di quella in cui si trovava ora, quella del Prigioniero …e poi non ce l’aveva, lui, l’esplosivo.
Doveva soltanto saltare dal mezzo con cui, quella sera, sarebbe stato trasferito con altri dal Carcere 1 al Carcere 2, lo spostamento non aveva altro scopo se non quello di rimettere a nuovo il Carcere 1, che era stato spesso apostrofato come “lurido”, “casa di ratti” e “maleodorante”, ma in quel momento serviva allo scopo.
Il Prigioniero si concesse un minuto per pensare al Piatto, il suo legame con il Resto, il motivo per cui aveva fatto tutto quello che aveva fatto e si preparava a fare tutto quello che stava per fare. Non ricordava se il Piatto avesse un nome, ma ne ricordava perfettamente il sapore, ricordava i brani di pollo e di maiale e le verdure che con il loro salato contrastavano l’agrodolce della salsa di melograno di cui erano cosparsi, e ricordava che spesso con questo piatto unico veniva servito del pane morbido e sciocco, che veniva intinto in una vaschetta di yoghurt acidulo e incredibilmente speziato, al punto di far lacrimare anche gli occhi.
Quando venne il momento il prigioniero si chiese se fosse pronto e si rispose di sì. Lo caricarono sul mezzo, e quando fu abbastanza lontano, su una stradina sterrata, saltò. Aveva calcolato di cadere nell’erba, sul morbido, ma al momento della caduta la testa sbatté forte su un sasso, appena sopra l’orecchio. L’unico motivo per cui non lo aveva visto, quel pezzo di pietra grosso come il suo pugno e forse di più, è che era immerso nel folto di quel prato. Per un po’ stette a carponi, domandandosi tramortito se non si fosse rotto l’osso del collo o tagliato in qualche modo, poi si alzò, deciso ad allontanarsi da lì il più in fretta possibile.
Arrivò al Paese ore dopo, senza particolari incidenti, non era certo il suo Paese, quello era ancora molto distante, ma era comunque un Paese. Si fece ospitare da una vecchia signora sola, che al solo pensiero di un ospite aveva cominciato ad irradiare gioia, e si era messa, indaffaratissima, a sistemare la casa e soprattutto a cucinare, appena venuta a sapere del Piatto le era infatti venuta la voglia matta di rifarlo, pensava confidando nelle sue abilità di cuoca che se l’avesse cucinato abbastanza bene l’Uomo sarebbe rimasto con lei, non sarebbe stata più sola, avrebbe avuto di nuovo un Nipote. L’Anziana cucinava e le aspettative dell’Uomo crescevano, per questo apparecchiò in fretta. L’Uomo stava quasi per piangere quando sentì l’odore carico della carne cotta, quello dolce e mite delle verdure (il frizzante della barbabietola, la leggerezza pesante degli asparagi, la mollezza del cavolo). Si rese conto che era pronto.
Il primo boccone diede all’Uomo una soddisfazione intensa, la salsa gli passava in bocca dolcemente e qualche grano di melograno ancora intatto gli esplodeva sotto la lingua, gli piacevano i chicchi di melograno, con la loro superficie liscissima che celava un semino troppo duro per essere masticato ma abbastanza piccolo per essere ingoiato, ma era la carne quella che gli dava più sensazioni: i pezzi di pollo erano fibrosi, dovevano essere masticati con lentezza, mentre il maiale era morbido, si scioglieva in bocca, le verdure erano ben bollite , la barbabietola pastosa si mescolava con le miriade di filini verdi e fibrosi dell’asparago e ai piccoli alberelli fioriti e lacunosi dei broccoli. Il fatto che l’Anziana avesse rovesciato su tutto il piatto una cosa di cui non riusciva mai a fare a meno – una nevicata di scorza di limone, con il suo colore acceso e il suo odore fresco ruvido –, lo rese ancora più contento. Fu infatti solo dopo qualche cucchiaiata che si accorse che qualcosa non andava: inizialmente pensò ad un errore culinario dell’Anziana, poi si rese conto che la dolcezza del melograno non gli era percepibile, il salato della carne per lui non esisteva, per non parlare delle delicate sfumature delle verdure.
Aveva sempre ricordato nel minimo dettaglio il Piatto, ogni particolare gastronomico gli era inciso a fuoco nella memoria, tanto che aveva sempre potuto assaggiarlo con la mente. Ma adesso, in effetti, no, i suoi ricordi non collimavano con la sua esperienza presenza: fu così che realizzò, con orrore, di aver perso il senso del gusto.
Sofia Nangano / Liceo Classico Galileo di Firenze