Tanto va la gatta al lardo… – Racconto

Egisto Bolani si versò una tazza di caffè e aprì il “Corriere”, era mattina presto, aveva ancora tempo prima di uscire se voleva andare a quella mostra di arte moderna evitando la coda e Shan il gatto ne approfittò per chiedere la colazione strusciandosi sulle gambe del padrone. Mentre Egisto gli versava dei croccantini in una ciotola di plastica pensò a tutti i gatti che aveva avuto, aveva sempre amato i felini, lui: ne aveva avuti tantissimi di varie razze e li ricordava tutti, da Zeus a Tartina. Questo però era appena un cucciolo, lo aveva adottato da poco dopo la morte prematura del soriano Pulce. Riprese il giornale e lesse di stragi in paesi lontani, di insulti e mancanze oltre che di reati e di collassi, ma non trovò niente che stimolasse il suo pensiero, era tutto così vuoto e ordinario che non riusciva a pensare, non c’era niente di nuovo che lo facesse sentire vivo, piuttosto nuotava in quel mare di apatia che conosceva ma che non sopportava bene. Diede una pacca amichevole al gatto e uscì di casa, l’autobus su cui salì era semivuoto, una donna accompagnava due bambini all’asilo, due probabili ingegneri litigavano al telefono, forse tra loro, mentre dei ragazzi chiacchieravano del più e del meno ridendo tra loro. Una volta arrivato alla mostra, pagò il biglietto ed entrò, non c’erano molte sale da visitare, e quelle poche non esponevano niente di toccante, niente su cui si potesse costruire un pensiero, cadevano tutte nell’oblio della sua mente prima di aver smesso di guardarle, l’inutilità di quelle tele e di quelle statue lo irritò facendolo affondare nel suo personale mare di noia e pensò che il solo modo per non sprecare quella giornata sarebbe stata la possibilità di trovare qualcosa di stimolante da fare quella sera, avrebbe potuto vedere un’altra mostra o andare al cinema, in fondo doveva esserci qualcosa di interessante da fare in quella grande città. Uscì e decise di pranzare, scelse una tavola calda dall’altro lato della strada ed entrò facendo tintinnare un campanello, ma con un moto d’orrore si accorse, appena seduto, che non solo era già stato lì, ma anche che la cameriera lo riconosceva e lo stava salutando sorridendo con cenni del capo, si vergognava di aver fatto un errore così sciocco, ma si dominò abbastanza da ordinare un’insalata greca, in fondo poteva ancora accadere qualcosa, qualsiasi cosa, poteva cadere un piatto frantumandosi in mille lacrime di porcellana sul pavimento, poteva saltare la corrente in una fontana di scintille, o magari quel vecchio, quello seduto davanti alla finestra, quell’anziano rugoso e curvo, piegato dagli anni, poteva decidere che quello fosse un buon momento per spirare, e sarebbe stata la più naturale e graziosa delle cose! In effetti qualcosa accadde… il campanello tintinnò di nuovo ed entrò un uomo alto, che Egisto riconobbe ben prima che l’altro riconoscesse lui e gli si precipitasse sorridendo accanto prima di esordire in una noiosa (e ben nota) tiritera: “Egisto! Ci stavamo chiedendo dove fossi finito, perché non rispondi al telefono? La mamma non ti vede da mesi ormai, e non abiti neanche a due chilometri di distanza!” Ma prima che potesse ribattere a quelle sciocchezze ascoltate troppo spesso, senza senso (come qualcuno avrebbe potuto desiderare di parlare alle stesse persone più volte lo scioccava), il fratello continuò a sommergerlo di chiacchiere, ed il seguito fu davvero una piccola sorpresa, dato che lo invitava al suo matrimonio con una donna di cui Egisto aveva già sentito il nome, addirittura gli chiedeva di fare da testimone. Egisto gli disse che ci avrebbe pensato, certo, lo avrebbe chiamato, ed intanto la conversazione si spostò su ciò che avevano letto negli ultimi tempi, Egisto fece il nome di un autore, che in un suo libro descriveva la sua vita in un sanatorio, al che il fratello rispose: “Non so chi sia, ma so che probabilmente amava qualcuno”. E a quel commento ad Egisto il disgusto salí subitaneo in gola, non sapeva se per il sentimento comune, già trattato in mille modi diversi, o perché in quel libro l’autore affermava davvero l’amore e la relazione con una donna, prevedibilmente. Cosa era poi questo amarsi? Un’idiozia, ecco cosa.
Tornò a casa sul tardi, dopo aver perso il pomeriggio a parlare del più e del meno con il fratello, le mani cominciarono a prudergli prima ancora di aver messo le mani sulla porta, la schiena stillò sudore freddo e la nuca cominciò a tremargli, non poteva non fare qualcosa. Doveva. Si versò un bicchier d’acqua, lo scolò in un sorso e si sedette sulla poltrona di pelle, quella in salotto.
Nella sua disperata impellenza vide il gatto. Prese Shan in braccio e con delicatezza gli carezzò il collo folto e le orecchie morbide, con forza gli agguantò la coda, e mentre l’animale miagolava confuso lo tirò felicemente contro il muro per tre volte. Il gatto atterrò per terra, come tutti quelli da Zeus a Tartina prima di lui, inerte. Era successo qualcosa, lui non era più annoiato. Riprese il giornale in mano.
Sofia Maria Nangano
Classe / Liceo Classico Galileo di Firenze