Ultimo ballo al chiaro di luna – Racconto

20/08/1993, Texas, Huntsville, Braccio della morte.
«Sa, spesso mi chiedono perché… Sto parlando di poliziotti, avvocati, “medici”; ah, quanto odio gli psichiatri… Le loro parole mi giungono lontane, lontane, forse è colpa delle pesanti porte rinforzate che ci separano… oh, inoltre non penso che le pesanti catene mi rendano più disponibile. Ah, la sfrontatezza umana, la presunzione di questi omuncoli… Dovresti vedere le loro espressioni. No, non le espressioni; gli occhi. Sai cosa traspare? Te lo dico io: disgusto. D’altronde cosa si potrebbe provare davanti ad un pluriinfanticida, un padre che decide di uccidere i suoi stessi figli? Già, il disgusto è la sola reazione. Il “perché”? Solo una formula; dopotutto hanno un lavoro da svolgere, anche se preferirebbero impiegare meglio il loro tempo. Ma torniamo a noi. 39 proiettili, stiamo parlando di quasi cinque caricatori svuotati su due soli corpi in una decina di minuti circa. Si chiede come mai ci abbia impiegato cosi tanto? Uccidere Mary è stato relativamente semplice. Entrato nella sua cameretta non ho esitato a puntarle la pistola contro. Già, la mia cara Beretta. Me la ricordo ancora perfettamente la mia vecchia pistola d’ordinanza. Puro acciaio italiano, materiale di qualità. Proiettili 9mm Parabellum. Provavo sempre un fortissimo sconvolgimento quando la estraevo dalla fondina, quella elegante fondina di cuoio su cui avevo grezzamente inciso il mio nome: “F. Soter”. Colpa di quello svitato di Davidson, il mio vecchio partner; ogni tanto confondeva le nostre cose. Peccato le lettere siano andate cancellandosi col tempo. Comunque, nonostante quella fortissima emozione, non ho mai mancato un bersaglio, mi crede? Ma non devo divagare… Stavamo parlando di Mary, giusto? Senza preoccuparmi molto di non fare rumore, non la svegliavano le cannonate, entrai in camera sua, misi il cuscino davanti alla canna e sparai. 21 colpi esplosi, secondo il referto originale, giuso? Cazzate, dovetti pure correggerli in tribunale…erano 22. E qui iniziarono i problemi. Lei lo saprà bene quanto tempo ci voglia per esplodere un singolo colpo, no? Circa 0,2″. Nemmeno un minuto con una semiautomatica per spararne 22. E in nemmeno un minuto Zacke era già “corso” giù per le scale, e poi via lungo il vialetto che portava sulla 17esima. Diciamocelo, però, la sua fu una fuga vana, viste le sue condizioni. Tempo due minuti e mi misi sulle sue tracce… non mi ci volle molto per raggiungerlo e placcarlo. Io su di lui, lui sotto, canna puntata alla testa e quegli occhi…. Non saprei dire con esattezza cosa ne trasparisse. Non sono mai stato bravo nel capire le persone. Ma stavolta, solo per i miei figlioletti, fui in grado di provare pietà. Già, ecco il perché sparai, pietà. Sindrome di Carpenter. All’inizio non capì bene cosa i dottori cercassero di comunicarmi. Lo capii col tempo. La mia fu pietà».
Ma quando, ridendo tra sé e sé, alzò lo sguardo vide che Foster non era più davanti a lui, andato via, come se non fosse mai esistito, in un moto d’ira colpì la prima cosa a portata di mano. Sentì meno dolore di quello che provava dentro di sé quando i frammenti dello specchio gli si conficcarono sotto la pelle…
Cristian Panella / Liceo Classico Galileo di Firenze