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Il segreto della felicità svelato da Alessandro D’Avenia

“Ove tende questo vagar mio breve?” è Leopardi a scriverlo nella poesia de “Il pastore errante”, ma può essere chiunque altro a porsi questa domanda. La storia è ricca di esempi, dai filosofi greci che cercano di dare una spiegazione all’esistenza umana e alla morte, sino ad arrivare ai giorni d’oggi, dove la ricerca della felicità risulta essere sempre più difficile, soprattutto nell’adolescenza. Lo sa bene l’autore di “L’arte di essere fragili “, Alessandro D’Avenia, professore di lettere al liceo. Proprio la sua professione lo porta ad essere sempre in contatto con i giovani, assetati di speranza, che iniziano a comprendere quali siano i loro sogni, le loro passioni, la strada da seguire. La tematica adolescenziale è proprio il fulcro anche degli altri suoi libri come “Bianca come il latte e rossa come il sangue” e “Cose che nessuno sa”. L’età adolescenziale è proprio quella in cui si comincia ad interrogarsi su questioni come: perché conduciamo un’esistenza così fragile? Dove ci conduce questa esistenza a volte malinconica? E soprattutto cos’è la felicità? Quella di cui ognuno di noi ne è alla ricerca costante. Come possono gli adolescenti di oggi rispondere a queste domande, se nemmeno i grandi di ogni epoca ne sono stati in grado? La felicità sta forse in un momento in cui ci si rende conto che niente potrebbe andare meglio? Quel momento di felicità è quando stai bene con te stessa prima che con gli altri. Quando si giunge alla consapevolezza che, indipendentemente da qualsiasi cosa succeda, ci sarà sempre qualcuno con una mano tesa verso di noi pronta ad aiutarci. Chiediamoci che rumore fa la felicità? Un rumore tremendo dentro, un rumore di risate, di battiti del cuore, in mezzo al silenzio dell’immensa tranquillità. Chiediamoci quale sia il vero problema per noi giovani, forse riuscire a tener desto questo grande desiderio che c’è dentro il cuore di ognuno e non barattarlo con desideri ridotti, del carpe diem, luccicanti al momento ma scadenti come prodotto finale. Per D’Avenia la soluzione si può trovare nei versi di Leopardi, colui che “mi ha svelato il segreto della felicità, l’ultimo a cui avrei pensato da ragazzino, di concedere la chiave della mia stanza”.   D’Avenia, infatti, ammira Leopardi perché è riuscito a capirne la sua vera essenza. Identificato dai suoi contemporanei come un “depresso” e “pessimista” e dai giovani d’oggi come uno “sfigato”, Giacomo non è altro che un autore con una sorte avversa ma che, nonostante ciò, è riuscito a fare della propria vita una passione, del “proprio destino, una destinazione”. Un bambino, che fin dai suoi primi anni, ha dovuto far fronte ai problemi fisici, che lo hanno allontanato dai suoi coetanei; un giovane in cerca di affetto mai ricevuto dai genitori, che si rinchiudeva in biblioteca per ottenere dal padre quell’amore che un genitore autoritario e distaccato non gli aveva mai concesso; un uomo, in cerca di un amore che lo corrispondesse, ma da cui ha ottenuto solo ennesime delusioni. Leopardi, insomma, rappresenta ciò che un adolescente non vorrebbe mai essere o diventare. Non tutti infatti sono capaci di vivere senza l’affetto incondizionato dei genitori, di rialzarsi ad ogni caduta, di vivere con la consapevolezza che un giorno i propri problemi fisici peggioreranno e non gli resterà altro che la morte. Il vibrante pensiero leopardiano, tende profondamente alla pienezza della vita, alla ricerca della felicità temporanea che annienti il nulla, alla ricerca continua del desiderio e dell’amore per la speranza, illusioni che combattono la “malattia mortale” della disperazione. Leopardi è riuscito a convivere con tutto ciò e ha trovato sfogo nella poesia, ha trovato conforto nelle pagine vuote che riempiva con i suoi versi. “In queste pagine pongo domande e rispondo a Leopardi” che mi ha risposto “scrivendomi lettere accorate e vigorose” scrive D’Avenia.  Proprio per questo “l’arte di essere fragili”, più che un romanzo vero e proprio può essere considerato una sorta di epistolario, diviso in quattro parti, quattro come i passi fondamentali dell’esistenza umana, quattro come le fasi salienti della vita di Leopardi, queste sono: “Adolescenza o arte di sperare”, “Maturità o arte di morire”, “Riparazione o arte di essere fragili”, “Morire o l’arte di rinascere”. La prima tappa, quella dell’adolescenza, è quella fondamentale per la vita umana. Ciascun adolescente, così come il giovane Giacomo, si trova in una dimensione quasi nuova. Manifesta diverse fragilità, pur restando aperto, disponibile e generoso.I giovani di oggi non sono più prigionieri delle ideologie, come le generazioni precedenti, aspirano a rapporti autentici e sono in cerca della verità, ma non trovandoli nella realtà, sperano di scoprirli dentro di sé. Giovani e fragili, sono questi gli adolescenti, da una parte onnipotenti e invincibili, dall’altro la fragilità del non ancora li porta alla ricerca delle ragioni di vita su cui costruire la propria esistenza. Si comincia a porsi domande sul posto che ciascuno di noi occupa nel mondo e il momento in cui lo si trova è definito col termine “rapimento”, ovvero la chiamata ad essere qualcuno. “Tu mi hai insegnato che il rapimento non è il lusso che possiamo concederci una notte all’anno, ma la stella polare di una vita intera “. Esso rappresenta quindi un’improvvisa manifestazione della parte più autentica di noi, di quello che sappiamo essere a prescindere da tutti.    Il “rapimento” di Leopardi è quello di essere un poeta, pur andando contro al volere dei genitori. Una volta ricevuta la chiamata, Leopardi si rende conto che ciò non può avvenire a Recanati perché ha bisogno di esplorare nuove realtà. Così organizza la “fuga” da casa Leopardi. “Con l’uscita di casa finisce l’adolescenza, […], dopo aver dato corso all’eccesso della speranza è venuto il momento dell’esperienza e del suo eccesso. È tempo di inaugurare un’altra tappa: la maturità”. Mentre prima, si è protetti da una sorta di guscio, ora, con l’avvento della maturità, ci si sconta con gli inevitabili ostacoli e i fallimenti, le conseguenti tristezze e ferite che la vita oppone al nostro “rapimento”, occupando la “morte interiore” ogni qual volta che questo avviene.   Oltre dal tentativo di mettere in atto il proprio “rapimento”, quest’età è caratterizzata dall’amore, l’unico che ci perdona di essere come siamo, di abbassare le difese per lasciarci amare nonostante le nostre insufficienze e fragilità. Si passa così all’altra fase, la riparazione o l’arte di essere fragili, l’età in cui riemergono i ricordi, il vuoto di una vita trascorsa tra vani tentativi e il rimpianto della giovinezza, “l’unica aurora che non torna”. Leopardi una volta compresa la triste, ma autentica nuda essenza dell’esistenza, prosegue verso il cammino di una accettazione della vita nella sua intera totalità; dopo aver abbandonato la scrittura, e quindi il suo “rapimento”, si aggrappa all’unica cosa che gli resta, l’amicizia con Pietro e Paolina Giordani. Questa nuova speranza di essere circondato dall’affetto di persone che lo accettano così come è, si traduce finalmente in realtà. Leopardi, grazie all’amicizia, riesce così a tornare a scrivere, a dar sfogo al proprio animo, nonostante il peggioramento delle condizioni fisiche. E la morte subentra proprio nel momento in cui il poeta ha con sé l’amicizia e la poesia. Giacomo, infatti, muore mentre detta gli ultimi versi all’amico Pietro.    Arriviamo dunque all’ultima fase, la morte o l’arte di rinascere. Essa rappresenta la tappa a cui nessuno vuole arrivare, poiché è vista come la fine di tutto. Ma “solo chi ha consuetudine con l’infinito conosce la propria finitezza, accetta la morte e non la nasconde, solo chi accetta la morte sa vivere”. Leopardi, morto con la consapevolezza di avere accanto i suoi amici e di non avere sprecato la sua esistenza, ha così compreso che l’amore è il segreto per rinascere e rappresenta in pieno l’arte di essere fragili. Il libro è sicuramente diverso, alternativo. Non vi è una trama precisa, non vi sono delineate le storie di personaggi, non ci sono ambienti descritti. I veri protagonisti sono Leopardi e il suo pensiero, l’autore stesso e i racconti dei ragazzi, che inducono a riflettere, a porsi domande, a vedere il mondo con una chiave diversa. D’Avenia non si limita a descrivere Leopardi, egli pone una serie di quesiti di grande rilevanza, una serie di interrogativi senza però la pretesa di trovare soluzioni. La vita appunto non può essere considerata né semplice, né risolvibile con una semplice formula matematica. Vi sono misteri che resteranno tali nonostante i tentativi dell’uomo.     Questo libro è come un viaggio a tappe e la sua partenza è proprio il concetto leopardiano del “il poeta sa che il futuro delle cose è celato già nella loro origine” . D’avenia ti accompagna per mano mentre ti fa investigare su Leopardi e allo stesso tempo su te stesso, in un parallelismo quanto mai attuale. Leopardi, man mano che si continua a leggere, diventa sempre più contemporaneo, sempre più fragile. Un personaggio che si nobilita dall’essere depresso e pessimista, per diventare un uomo appassionato dalla vita, che ne vuole godere a pieno come i ragazzi di oggi.  Il successo del libro consiste proprio nel sottotitolo “Come Leopardi può salvarti la vita”. Prima di cominciare a leggere, sembra quasi un ossimoro. Come può il poeta che sosteneva che “il naufragar mi è dolce” salvare la vita degli altri? In realtà, appena concluso il libro, tutto diventa chiaro. Tramite il tentativo di scavare a fondo nei versi di Leopardi, si riesce allo stesso tempo a conoscere maggiormente se stessi e la propria interiorità. Questo è quello che è successo per primo a D’Avenia, quando per la prima volta ha incontrato l’autore dello Zibaldone, che gli ha rivelato, in un momento di debolezza adolescenziale, “il segreto per fare fiorire un destino umano intuito nell’adolescenza”. Nel raccontare tutto ciò, D’Avenia fa uso delle proprie conoscenze, di espliciti richiami alla realtà e di metafore, molte delle quali richiamano gli elementi naturali come “il seme nascosto nel cuore di una mela è un frutteto invisibile”, per spiegare quello che egli definisce “rapimento”. Ossia quei momenti essenziali che sono presenti nel nostro io e che a nostra insaputa ci illuminano la strada, conducendoci al nostro destino. E D’Avenia riesce proprio in questo libro a far vedere chiaramente la necessità di scoprire quale sia il proprio, ovvero le passioni più pure, autentiche, libere da mode e costrizioni e quanto questo sia essenziale per la vita.    “L’arte di essere fragili”, nonostante le difficoltà dei temi trattati, è scritto in maniera scorrevole e chiara, permettendo così ad ogni lettore, adolescente e non, di vivere o rivivere le tappe fondamentali della vita. L’inserimento dei versi leopardiani, non fa demordere il lettore ma anzi ne è uno stimolo poiché si resta affascinati dalla figura di Leopardi e da come questa sia stata ribaltata rispetto ai canoni tradizionali della società, che lo descrivono solo come pessimista. Questo libro diventa fondamentale per ciascun lettore poiché può essere visto come un manuale per la vita; nei momenti di difficoltà, basta una frase del libro per ricordarci di dover apprezzare la nostra esistenza e di non farci abbattere dagli ostacoli posti dal destino, così come ha fatto Leopardi. Quell’uomo che, pur soggetto alle difficoltà della vita, è sempre rimasto con il sorriso di un bambino.

Vanessa Baglieri 3 A