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Nove italiani su dieci si sentono in colpa per il cibo sprecato

È sempre così: ogni volta che arriva il fatidico “giorno della spesa”, nonostante i migliori propositi, si torna a casa con i carrelli pieni ed il doppio degli articoli della lista originaria. Per questo consumismo sfrenato le conseguenze per quanto riguarda lo scarto degli alimenti (almeno nei paesi sviluppati) sono a dir poco spaventose.
Per spreco alimentare si intende generalmente quella parte di cibo che viene acquistata ma non consumata, che a livello globale orbita attorno ai 1,3 miliardi di tonnellate. Di questo esorbitante quantità ben l’80% risulterebbe ancora consumabile.
Lo spreco italiano annuale è di 149 kg di alimenti a testa, un numero significativo ma comunque minore rispetto ai 180 kg europei. Secondo una ricerca del 2011 diretta dalla FAO (l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura) sono 222 milioni le tonnellate di cibo sprecate nei Paesi industrializzati: una cifra che, da sola, sarebbe sufficiente a sfamare l’intera popolazione dell’Africa Subsahariana. L’intero spreco alimentare basterebbe a sfamare 2 miliardi di persone nel mondo.
Possiamo analizzare lo spreco alimentare e suddividerlo in tre punti fondamentali: fase produttiva, fase distributiva, fase del consumo. Quella dove avviene il maggiore spreco è l’ultima, soprattutto nei paesi industrializzati, per una consistente ignoranza da parte dei “consumatori”, vale a dire un’incapacità di scelta sui prodotti della gente comune.
Le cause di ciò sono varie: l’inosservanza delle indicazioni poste in etichetta sulla corretta modalità di conservazione degli alimenti; la tendenza a servire porzioni di cibo troppo abbondanti; le promozioni che spingono i consumatori a comprare più cibo del necessario.
Cosa possiamo fare nel nostro piccolo per evitare tutto questo scarto? Esempi di soluzioni possono essere fare la lista della spesa e comprare solo quanto necessario, prediligere prodotti locali, scegliere prodotti di stagione, usare meno prodotti trasformati, imparare l’arte della cucina di recupero, utilizzando avanzi e scarti e non servire porzioni eccessive.
Dobbiamo tenere conto anche che insieme al cibo vengono sprecati pure la terra, l’acqua, i fertilizzanti che sono stati necessari per produrlo. Lo scarto degli alimenti influisce in modo molto negativo sull’ambiente.
Nell’analisi del problema però non si può non evitare di rilevare i traguardi positivi che in Italia stiamo raggiungendo: nel 2016 si stimava uno spreco di cibo di 145 chili a famiglia e 63 chili a persona, mentre adesso il progetto “Reduce”, promosso dal ministero dell’Agricoltura e dall’Università di Bologna, ha quantificato lo spreco in 84 chili a famiglia e 36 chili a persona, vale a dire 110 euro di risparmio annuo a persona. Il motivo di questi passi in avanti è che nove italiani su dieci si sentono in colpa per lo spreco, e quattro su dieci affermano di aver ridotto gli scarti, congelando il cibo cucinato in eccesso o iniziando a fare la spesa rispettando la lista.
Le buone notizie non finiscono qua: la campagna Spreco Zero vuole celebrare con diverse iniziative i venti anni di Last Minute Market, una società spin-off accreditata dell’Università di Bologna che nasce nel 1998 come centro di ricerca nel recupero delle eccedenze alimentari. È stata di recente lanciato anche il contest fotografico antispreco per il Premio Vivere a Spreco Zero, al quale ognuno ha la facoltà di partecipare postando una foto a tema su twitter.
Gemma Petri / Liceo Classico Galileo di Firenze