Scomparsa – Racconto

“Risponde la segreteria telefonica del numero 338489756, lasciate un messaggio dopo il segnale acustico. Biiip”
“Anita dove sei? Non farmi preoccupare, richiamami!”
Così iniziò la storia di una ragazza, Anita Johnson. Quella mattina Anita non si presentò né all’angolo di Harley Street da Jacob né a scuola, il che non era affatto rilevante, perché poteva aver semplicemente saltato scuola o essere malata, il problema è che la sera non tornò a casa, il giorno dopo neanche. In poco tempo per strada si diffusero le sue foto: sui muri, sui semafori, erano dappertutto, ma la cosa più brutta era che lei non c’era e che tutti la conoscevano come “la povera ragazza scomparsa”.
“Chi sei? Che vuoi da me?”
Nessuno rispose a quella vocina che proveniva dal paraurti posteriore della macchina, ma Anita non era una tipa che si arrendeva facilmente nemmeno in quella circostanza, e continuò a domandare invano. Dopo qualche ora chiusa nella macchina sentì qualcuno aprire la portiera posteriore e in pochi secondi si ritrovò in braccio all’uomo che probabilmente l’aveva rapita.
A scuola, da allora, il suo banco era rimasto vuoto a prendere polvere, e Jacob lo osservava ripetutamente, ad ogni ora di lezione. Gli mancava la sua presenza simpatica, i segni buffi che lei gli rivolgeva dalla parte opposta dell’aula, i bigliettini che la sua migliore amica gli lanciava nel pieno di una lezione con la stessa frase scritta in modo illeggibile “parliamo di qualcosa?”, il suo sorriso radioso. La cosa che più lo infastidiva era la gente che parlava e riparlava di Anita accusandola di essersela cercata e puntandole il dito contro.
“Ahhhhhhhhhhhhhhhhhhh!” urlò terrorizzata Anita. E la ragazza dai capelli rossi cadde in una grotta. Prima di lasciarla lì qualcuno le tolse la benda che copriva i suoi occhi. Era un luogo freddo, bagnato, e lei era affamata, cadde in un pianto che non riusciva a fermare, aveva paura, nessuno la poteva biasimare, in fondo era stata rapita, e probabilmente da lì a poco sarebbe anche morta, ma non la prese malissimo, dopo quel pianto si promise di non versare più alcuna lacrima e si addormentò.
“Basta!” gridò Jacob, poi si mise sotto il cuscino e pianse, consumò ogni lacrima, ogni tipo di liquido nel suo corpo svanì nel giro di un’ora o poco più, si sentiva solo, abbandonato, l’unica amica che lo rendeva felice era andata via, o meglio gli era stata portata via, si sentiva inutile, non era più importante per nessuno.
“C’è sempre una via d’uscita, c’è sempre…” Anita si svegliò con questa frase che probabilmente poco dopo l’avrebbe condotta alla via d’uscita, si diresse dove il buio prendeva il sopravvento, senza alcun timore, e da lì a poco arrivò al bosco di Rive, che conosceva alla perfezione , il bosco in cui il padre la portava da piccola con Jacob, il suo migliore amico. Un’auto si fermò alla vista della ragazzina che si sbracciava chiedendo soccorso, il conducente la fece salire e la portò a Roger Street, dove Anita abitava e dove presto sarebbe arrivata la polizia, chiamata dalla sua famiglia. Quando la porta principale ti viene chiusa, passa dal retro e se il retro non c’è, passa dalla finestra. Ricordati che c’è sempre una via d’uscita…
Alessia Restaino / Scuola Secondaria di primo grado Puccini di Firenze