DIPENDENZE DALLA TECNOLOGIA

Di Julia Kurti, Maxwell  Nwoke e Ruben Togneri

 

Ci siamo recati a Cusighe, nella struttura psichiatrica che si occupa delle persone affette da dipendenze. Abbiamo deciso di approfondire il tema della tecnologia perché al giorno d’oggi è un problema molto frequente nella società. Lì abbiamo intervistato due dottoresse, la Dottoressa Raffaella Vedana, che si occupa di prevenzione nella maggior parte delle scuole della provincia e un’altra psicologa che invece lavora solo all’interno della struttura, a stretto contatto con in pazienti.

JULIA: Noi oggi siamo venuti per informarci sul tema delle dipendenze, in particolare le dipendenze dalla tecnologia/ internet.

Dott.Ssa Vedana: Allora, iniziamo col dire che la tecnologia è importante e utile a tutti, oramai è socialmente accettata ed è normale passarci tante ore, il rischio è che non ci si renda conto e quindi di abusarne troppo. Il soggetto affetto dalla malattia dopo un lasso di tempo, da un uso normale di internet passa ad un uso eccessivo ,fino ad arrivare a quello compulsivo. Tutte le dipendenze funzionano nello stesso modo, quindi quando la sostanza o l’attività provoca piacere inizia la dipendenza.

JULIA: Quando la dipendenza “supera” il limite?

Dott. Ssa Vedana: Quando la realtà virtuale diventa quasi più importante della vita reale, quando le ore passate diventano molte e vanno ad incidere sul rendimento scolastico o lavorativo, oppure quando la vita relazionale diventa più “povera”. Questo influisce anche sull’alimentazione, che inizia a cambiare, come per esempio saltare un pasto. Un altro aspetto importante è il nervosismo che tocca le persone quando si sentono in assenza di internet oppure, con il passare del tempo, può portare anche problemi fisici data la mal postura del soggetto, come il malore alla cervicale, agli occhi o alla schiena.

JULIA: Chi sono le persone più vulnerabili? E perché?

Dott. Ssa Vedana: Gli adolescenti sono le persone generalmente più vulnerabili a questo tipo di dipendenza, perché la capacità di controllo dal punto di vista fisiologico, l’area prefrontale, deve ancora maturare. Per esempio: quando i ragazzi postano una foto sui social, attendono con ansia i “like” sperando che siano tanti, perché questo è come se li facesse sentire più importanti e stimati dai coetanei. Soprattutto chi è più introverso o ha delle difficoltà a relazionarsi con gli altri, chi si sente giudicato dagli altri, sa che con internet questo non succede ed è come se si sentisse “accudito” e “nutrito” interiormente.

JULIA: Cosa si può fare per evitare di cadere nella dipendenza?

Dott. Ssa Vedana /Psicologa: Bisogna imparare a gestire il proprio tempo in altre maniere, fare cose che fanno stare bene nella vita reale , come ad esempio uscire con gli amici o praticare sport, in maniera da riuscire a mettere un “argine” alla dipendenza.

RUBEN: Voi che fate questo lavoro vi siete mai sentite contagiate/ invogliate dalla dipendenza del paziente?

PSICOLOGA: No, perché noi vediamo soprattutto gli aspetti più negativi della malattia, quindi quando vediamo che il soggetto soffre per la dipendenza, e anche i famigliari di conseguenza, questo non invoglia nessuno a “provare” cosa si vive ad essere dipendenti da una cosa.

JULIA: Che cosa si attiva nella mente dei ragazzi quando iniziano ad essere dipendenti dai videogiochi, chat ecc …?

Dott. ssa Vedana: Nella mente dei ragazzi si attiva la sensazione del piacere, l’ assuefazione di entrare dentro una dimensione dove sembra che creare delle relazioni sia più facile, quando invece è solo una cosa illusoria, perché per conoscere una persona sono importanti i linguaggi del corpo come lo sguardo o il comportamento della persona.

JULIA:  E’ possibile che l’ attrazione verso i videogiochi sia talmente forte da non poter curare il paziente?

PSICOLOGA: I percorsi di cura sono sempre faticosi, la persona accetta di ripartire con una nuova vita quando ormai è al limite della dipendenza, quando si accorge che si sta facendo del male da sola arrivando a toccare il fondo. Un percorso è positivo quando la persona ha uno stile di vita migliore rispetto a prima, già migliorare per noi vuol dire “cura”. Molto spesso ci sono delle ricadute, quando la persona per qualche motivo inciampa nella dipendenza, ma data la “nuova” coscienza del paziente riesce a “tornare in carreggiata”.

RUBEN: Voi psicologhe seguite i pazienti anche dopo essere stati curati, quindi anche dopo il percorso di guarigione?

PSICOLOGA: Si, i pazienti del Serd, ad esempio, vengono visitati anche per anni dopo la conclusione del percorso, altri tipi di pazienti invece, vengono comunque visti ma in tempi più cadenzati per capire e vedere il punto della situazione. In caso di difficoltà comunque i pazienti possono sempre tornare.

RUBEN: Avete mai rifiutato di ricevere, guarire o seguire una persona dopo aver analizzato il “livello” della dipendenza?

PSICOLOGA: No, perché siamo tenuti ad occuparci e dare servizio al paziente, cercando di fare il possibile per aiutarlo. E’ come se fossimo dei medici, e facciamo una sorta di giuramento, ecco, a  noi qualunque persona  ci venga “assegnata” dobbiamo accoglierla e fare di tutto per curarla.

JULIA: Ci sono dei pazienti che vengono qui e ingigantiscono il problema?

PSICOLOGA: No, anzi, è l’esatto opposto, i pazienti tendono a minimizzarlo, ed è per questo che quando vengono qui sono al limite della dipendenza, perché, pensando che non hanno nulla o comunque nulla di grave, si ritrovano alla fine a decidere se vivere o morire.

JULIA: Come vengono trattati i pazienti quando vanno al servizio?

PSICOLOGA: Al momento dell’arrivo del paziente si fa una valutazione di equipe, quindi un gruppo di persone che svolgono diverse attività; per esempio quella psicologica, medica, sociale, educativa. E’ molto importante lo scambio di idee tra i colleghi e i vari punti di vista. Da questo si riesce a capire quali sono le difficoltà, ma soprattutto i punti di forza nella situazione. Dopodiché si formula un progetto, che verrà condiviso con il paziente e solitamente, dove si può, si cerca anche la collaborazione dei famigliari, che diventano una risorsa importante. Il progetto che viene messo in atto può prevedere: presa in carico ambulatoriale, ricovero in reparto specialistico o  una comunità terapeutica.

JULIA: In che fascia d’età si sviluppa maggiormente questa patologia?

Dott. Ssa Vedana: La dipendenza verso internet si sviluppa maggiormente nell’adolescenza e cresce con il passare degli anni. Una persona si può ritrovare anche da adulta a soffrire di questa malattia. Le caratteristiche che hanno in comune i pazienti sono le bugie e la manipolazione della realtà; i pazienti preferiscono mentire pure a loro stessi pur di andare avanti con la dipendenza e manipolare appunto la realtà, e quindi credere che vada tutto bene.

JULIA: Com’è iniziata la vostra passione per il mondo della psicologia e il voler aiutare le persone?

Dott. Ssa Vedana: Io vivevo a Roma,e  dopo aver finito l’università, ho partecipato ad un concorso e l’ho vinto. Mi mandarono a lavorare ad Auronzo di Cadore in un centro alcologico, dove si fa un mese di ricovero per uscire dalla dipendenza.

PSCICOLOGA: Mi ha sempre affascinato il mondo della psicologia e soprattutto aiutare le persone nella comprensione di un problema. Ho fatto un lungo tirocinio concentrato nella neuro psichiatria infantile evolutiva, e poi ho vinto un concorso per il Serd dove mi ha interessato il fatto di cercare di capire come mai le persone fanno delle scelte di vita che portano a delle conseguenze negative.

Ringraziamo molto la Dott. Ssa Vedana e la sua collega per la loro disponibilità ed aver speso del loro tempo per la nostra intervista.