L’ULTIMO PRIMO GIORNO DI SCUOLA

Con la mente ancora in vacanza, il 13 settembre alle sette meno un quarto mi sveglio. La sera prima non avevo dormito molto: ho pensato e ripensato a quanto potesse essere difficile l’ultimo primo giorno di scuola, all’idea di dover affrontare un’intera giornata con i miei compagni. Pensavo a quanto fosse complicato tornare alla vecchia routine. Il mio corpo era a letto, ma la mia mente era già a scuola.

Quando mi sono alzata, seppur a fatica, ho avuto bisogno di qualche minuto per realizzare che un’ora dopo sarei stata davanti al cancello della mia scuola. Dopo aver compreso il perché della mia esistenza ed essermi preparata a dovere, ho messo lo zaino in spalla e, carica di aspettative, sono uscita da casa. Anche se abito vicino a scuola, il percorso mi sembrava lunghissimo. Quasi pensavo di essermi sbagliata, perché non vedevo nessun ragazzo imboccare la strada che porta a quell’edificio che mi ha tormentato per tutta l’estate. Ed ecco che arrivo davanti al fatidico cancello ed incontro alcuni dei miei compagni di classe.

Per la prima volta mi sono sentita grande, ma è tornato nella mia mente il ricordo risalente a due anni prima: anche l’8 settembre 2017, alla stessa ora, ero davanti allo stesso cancello, con le stesse emozioni, carica di aspettative e, quasi senza paura, pronta ad affrontare il primo di tre lunghi anni. Ora, due anni dopo, mi sono ritrovata davanti al quel cancello, nella stessa posizione, ma pensando e ragionando da un altro punto di vista, un punto di vista di una persona cresciuta, più matura.

Anche se ero contentissima, un velo di tristezza mi ha attraversata: non volevo che questo fosse l’ultimo anno, perché nei due anni precedenti sono stata benissimo nella mia classe. Stava passando tutto velocemente, avevo bisogno di più tempo. Mi sembra solo ieri il giorno in cui sono arrivata alla scuola media per la prima volta. Quel senso di felicità si era tramutato in tristezza e tormento, ma grazie ai miei compagni mi sono risollevata. Pian piano vedevo arrivare ragazzi che, come me due anni prima, stavano per varcare il cancello ed entrare in quell’edificio che li avrebbe accompagnati per tre anni. In dieci minuti arriva tutta la 3L, la mia classe, quella classe che si era formata due anni fa e che era diventata una famiglia.

E poi arriva il momento. Suona la campanella e noi entriamo, chi più carico, chi meno. Le classi prime sarebbero entrate mezz’ora dopo, ma molti ragazzi erano già lì, impazienti come me.

Ancora un po’ nostalgici, ricordando i giorni passati sulla spiaggia, chiacchieriamo finché non suona la seconda campanella, quella che richiama i professori, quella che ci indica il vero inizio della giornata, di quell’ultimo primo giorno di scuola. La nostra professoressa di lettere arriva e noi ci mettiamo in fila, una fila non rigorosa come quella di due anni prima, quasi una mandria di pecore. Una fila da terza media.

Entriamo, prendiamo posto e, parlando di vacanze e di nuovi obiettivi da raggiungere quest’anno, le tre ore previste passano velocemente.

Suona la campanella, ci sistemiamo in fila, in quella fila da terza media e osservo la prima che si trovava accanto a noi: facce impaurite, un ordine rigoroso. Mi giro e osservo la nostra classe. Confronto le due file e realizzo veramente di essere in terza.

Ormai fuori dalla scuola, mi fermo a parlare con le mie amiche e sento delle voci familiari, voci di ragazzi che conoscevo che mi salutavano ancora un po’ spaventati. Io ricambio, ma dentro di me avrei voluto tranquillizzarli.

Tornando a casa, sento le voci delle mamme che, incuriosite, chiedono le prime impressioni ai figli.

Rivivere quei momenti è stata una bellissima sensazione, quasi mi dispiaceva tornare nel presente. Stava finendo una bellissima avventura, un’avventura che aveva fatto di me la vera Flavia.

Flavia Giotta 3L