La violenza non è il nostro destino

Con il trascorrere degli anni la guerra, o in generale la violenza, è da sempre appartenuta alla nostra civiltà, nonchè al nostro stile di vita, e tutt’oggi non cessa di originare devastazioni e tragedie. Purtroppo nel corso della storia la repressione si è resa in ogni circostanza un’azione indispensabile per fini che siano ricollegabili al mondo della politica e all’espansione territoriale con la conseguente sottomissione delle civiltà, o alla salvaguardia dell’indipendenza da parte dei popoli assoggettati. Dunque la violenza non è solo l’effetto del tentativo di soggiogare le popolazioni, ma è anche frutto della risposta difensiva di queste popolazioni che cercano di sopravvivere con i mezzi a loro disposizione; ma se si spazia su un discorso più ampio, agli albori della vita dell’uomo, si può ben vedere che la violenza gravava comunque sui più deboli, poichè le scimmie più aggressive tendevano ad appropriarsi delle risorse imponendosi brutalmente sugli altri esseri viventi. Ma l’evoluzione dell’uomo ha portato allo sviluppo di un metodo molto più proficuo di imporsi sugli altri, e cioè la moneta, lo strumento che ha gerarchizzato la razza umana, distinguendo le vari classi sociali, rendendo gli appartenenti alla base della piramide gerarchica dipendenti a coloro che risiedono al vertice di essa, situazione che ha scatenato non poche rivolte. Dunque la violenza attraverso gli anni si è conservata e si è imposta allo stesso modo, seppur in contesi differenti, e se due milioni di anni fa si doveva parlare di lotta per la sopravvivenza vitale, oggi invece si può parlare di lotta per la sopravvivenza economica, che oramai purtroppo sono diventati quasi sinonimi. Inoltre non bisogna dimenticare le numerose stragi e i massacri, che sono giunti nel punto più drammatico negli anni della salita al trono di Adolf Hitler, il quale ebbe l’impudenza di sterminare folle di persone per delle ideologie disumane che vedevano persone con una diversa costituzione genetica o diverse credenze religiose indegne di vivere.

Ma è stato nei periodi più tormentati che sono avanzate le figure più importanti e influenti a capo dei movimenti politici, religiosi e artistici contro la guerra e la tendenza all’uso della violenza. Tra le icone più celebri del XX secolo ritroviamo ad esempio Mahatma Gandhi, il “Padre della Nazione” che lottò fino alla morte per l’indipendenza dell ‘India e per l’abolizione della violenza in  tutte le sue forme, diffondendo in tutto il mondo gli ideali dell’ahisma, della giustizia e della libertà. Per non parlare degli innumerevoli cantautori che hanno fatto della musica un’arma pacifista, uno strumento artistico capace di imporre il proprio pensiero cantando l’atrocità delle guerre e la corruzione dell’animo umano, tra le cui figure più riconosciute troviamo personalità quali Bob Dylan, Joan Benz o Johnny Cash. Senza tralasciare le schiere di cineasti rivoluzionari esponenti della celebre corrente neorealista italiana, i cui principali rappresentanti Vittorio De Sica, Roberto Rossellini e Luchino Visconti hanno riprodotto su grande schermo le miserevoli condizioni di vita dei sobborghi e delle classi sociali più disagiate nella loro essenza.

Ma la violenza non è solo quella che viene comunemente attribuita a un atto repressivo volto alla sottomissione di una civiltà. La violenza può assumere l’accezione di “violenza psicologica”, cioè quel tipo di aggressività verbale tesa a incrinare l’integrità mentale, soprattutto dei ragazzi, fino a smarrire l’autostima e la sicurezza in loro stessi. Ciò avviene nella maggioranza dei casi nelle nuove tecnologie di rete definite “Social Media”, che hanno ormai completamente messo piede nelle nostre vite, e che sono teatro di atti di violenza verbale, alle volte sconsiderati, la cui gravità e costanza hanno introdotto nel vocabolario un nuovo termine che definisce specificatamente quel tipo di violenza indiretta presente nei social, e cioè “cyberbullismo”.

Senza dubbio la sofferenza e il dolore sono solo degli aspetti temporanei della nostra vita, e la guerra rappresenta una sorta di punizione necessaria per il raggiungimento di una tregua. L’unico modo affinchè l’uomo possa imparare dai propri sbagli è dunque la morte, attraverso la quale egli potrà elevarsi a se medesimo, ed evolversi ulteriormente in un stadio di consapevolezza capace di impedire che si lasci sopraffare dalle tendenze insignificanti dell’essere umano.

Currò Alessio classe 3 A