Viviamo in un villaggio globale

La risposta di Carlo Rubbia

Il premio Nobel per la Fisica, nella sua prolusione dal titolo “La scienza e l’uomo,” in occasione dell’inaugurazione dell’anno accademico 2000/2001-Università degli studi di Bologna- anticipa di circa vent’anni la problematica dei nostri tempi: le conseguenze della globalizzazione a livello tecnologico e a livello culturale.

La nostra epoca, caratterizzata da una sempre più crescente innovazione tecnologica, rintracciabile com’è in ogni ambito e settore  della nostra vita, vive, ormai, cristallizzata nella metafora del cosiddetto “villaggio globale”, ovvero di un mondo che è diventato “piccolo” – se si considera la possibilità di comunicare in tempo reale e a grande distanza – e che ha finito per assumere, ogni giorno di più, i comportamenti tipici di un villaggio. Le distanze siderali che in passato separavano le varie parti del mondo si sono ridotte e il mondo stesso ha smarrito il suo carattere di infinita grandezza per assumere, dunque, quello di un villaggio.

In ciò, forse, è la definizione di globalizzazione, ineludibilmente legata alla fisiologica ed inarrestabile evoluzione dell’innovazione tecnologica, che ha, in poco tempo, ampliato i tradizionali confini geografici, puntando nella direzione di una visione quasi universalistica del mondo e dei mercati. 

L’intento, fin dall’inizio, è stato la creazione di un unico grande mercato senza frontiere nel quale circolano capitali, merci, servizi ed informazioni, nuove mode e stili di vita che prima erano impensabili ed inimmaginabili. 

D’altronde, è innegabile come la graduale interconnessione di regioni, paesi e popoli diversi sia il progresso più colossale e positivo della nostra epoca, stimolato, almeno in parte, dalle conquiste acquisite in campo scientifico e tecnologico.

A tal proposito, il Nobel per la Fisica, Carlo Rubbia, nella sua prolusione dal titolo ”La scienza e l’uomo”, in occasione dell’inaugurazione dell’anno accademico 2000/2001, presso l’Università degli studi di Bologna, ha rimarcato espressamente, come l’internazionalizzazione della scienza, ampliando l’efficacia della ricerca scientifica, si connoti come bisogno naturale, “dal momento che le leggi della Natura sono evidentemente universali ed espresse con il linguaggio comune della matematica”.

Rubbia, invero, nel sottolineare l’evidente nesso eziologico tra l’interconnessione, intesa come confronto tra scienziati di tutto il mondo, e la conseguente straordinarietà delle scoperte scientifiche, ritiene di affermare, senza remore, i vantaggi che la globalizzazione, ritenuta fondamentale “per uscire dagli schemi ristretti delle società dell’Ottocento”, ha portato nel campo della ricerca scientifica, migliorandone i temi, i contenuti e i risultati.

Ciò vale, senza dubbio alcuno, per la comunità scientifica, ma cosa rappresenta davvero oggi la globalizzazione? 

È questo un fenomeno che, provocando una progressiva estensione nella scala dei processi sociali da un ambito locale o regionale ad una dimensione mondiale, ha impattato in modo significativo nella nostra quotidianità, incidendo anche nelle fondamenta della società. 

In pochissimo tempo ha modificato le vite di ciascuno di noi, così da potersi affermare che proprio la velocità sia stata ed è la caratteristica costante del fenomeno della globalizzazione in questi ultimi anni. Tutto reso possibile in ragione del concomitante sviluppo delle comunicazioni tra persone, agevolato dall’innovazione tecnologica dell’informazione, con internet e l’intero mondo virtuale. 

Si è, dunque, manifestata la voglia di cambiamento e di sviluppo, che ha riguardato ogni singolo aspetto delle nostre vite,  con notevoli agevolazioni alle azioni che svolgiamo quotidianamente.

Oggi si è in grado di comunicare in tempo reale con persone dall’altra parte del mondo; si possono effettuare pagamenti on line, leggere libri digitali, predisporre documenti in formato elettronico. 

Il miglioramento è sotto gli occhi di tutti. Ma come in ogni cosa c’è sempre un rovescio della medaglia. 

“Ma saranno tutti in grado o avranno voglia di buttarsi in questa crescente globalizzazione?”, si domanda, ancora, Rubbia.

Ci sarà chi abbraccerà questi cambiamenti e chi preferirà rimanere ai margini, con un rovescio rispetto alle gerarchie della società classica? ipotizza il fisico.

Qui, la formazione e l’educazione sono state prerogativa delle vecchie generazioni ovvero degli anziani, che avevano il ruolo ed il compito di trasmettere le proprie conoscenze ed esperienze alle nuove generazioni.

Oggi, non è più così… Sono i più giovani a dover istruire i vecchi.

Carlo Rubbia conclude, infatti, con un monito, “Dovremo contare maggiormente sulle nuove generazioni che dovranno, a loro volta, insegnare alle vecchie”.

La tesi che porta avanti conduce quasi ad un sovvertimento rivoluzionario dell’ordine politicamente precostituito, laddove ipotizza di far derivare l’autorità dalla competenza e dalla saggezza, e non dallo status, anticipando, di tanto, la realtà che viviamo oggi e tutte le sue contraddizioni, con la crisi di valori ed identità.

È come se non si rispettassero più i principi sui quali in passato abbiamo fondato le idee che fino a qualche anno fa erano il cardine delle nostre azioni.

Oggi è più facile arrivare ovunque ma, forse, è più difficile rimanere dove siamo e conservare la nostra connotazione più forte, quella che ci deriva dalla nostra storia e dai nostri valori, quelli che abbiamo ereditato e che forse non siamo stati in grado di preservare. 

 

CANDIDA IZZI