Pasolini, un problema silenzioso

Il 2 novembre 1975 moriva, al Lido di Ostia, Pier Paolo Paolini. Eppure, 34 anni dopo, le sue parole sono più vive, più attuali che mai di Lorenzo Cirelli   La prima volta che incrociai Pasolini non me ne accorsi. Era l’estate del 2016: al telegiornale passavano le stragi di Orlando e di Nizza, il referendum sulla Brexit e il terremoto di Amatrice Naturalmente, troppo preso dal godermi la bella stagione e l’adolescenza, me ne fregavo a cuor leggero degli attentati dell’Isis (brutto a dirsi ma, ahimé, vero), dei 70 anni della Repubblica e, non ultimo, di Pier Paolo Pasolini. Eppure, con il passare degli anni, qualcosa di quei giorni mi è rimasto addosso, e solo adesso, in prospettiva, lo riesco a leggere con chiarezza Quante chiavi di lettura, quanta consapevolezza mi ha poi dato quell’estate di spensieratezza: gli sbarchi a Lampedusa, una Lega al 37% in Umbria, le stragi jihadiste, una motivazione ai cori razziali negli stadi (che, farei notare, nel 2018 sono passati dal 17 al 30%) Comunque, rimanendo sul punto: la prima volta che incrociai Pasolini non me ne accorsi. Estate 2016, piazza San Cosimato: era la prima volta che vedevo lo schermo del cinema America. Mi avevano portato lì i miei genitori, perché quella sera, davanti a quello schermo, c’era niente meno che Roberto Benigni. Era l’anniversario della morte di Massimo Troisi e i ragazzi dell’America proiettavano “Non ci resta che piangere” Il discorso di Benigni non me lo ricordo, ma mi ricordo gli applausi, il pubblico che rideva e piangeva nel ricordo dell’attore partenopeo, le grida, uno strano odore: qualcuno si era acceso una canna. Sulla conclusione, da piazza San Cosimato si alza una poesia, sono i versi che Benigni ha scritto per Massimo: […] Morto Troisi muore la segreta arte di quella dolce tarantella, ciò che Moravia disse del Poeta io lo ridico per un Pulcinella Moravia, chi era costui? Certo non cercai risposta quella sera, e neanche quella seguente. Su quell’anonimo Poeta non mi chiesi nulla L’estate finì, arrivò l’autunno. A giugno feci l’esame di terza media, poi aspettai con ansia e timore l’inizio delle superiori. La domanda era ormai scomparsa dalla mia mente, perché adesso c’era la scuola e le prime versioni di Greco e Latino La risposta non arrivò in un giorno preciso, anzi, non ricordo che sia mai arrivata. Però, ad oggi, cosa disse Moravia del Poeta lo so, e so anche di quale Poeta si parla – e perché è bene scriverlo con la lettera maiuscola. Pasolini è diventato una presenza ingombrante, sebbene fisicamente muta. “Il problema silenzioso che si rivolge a poche orecchie”, se posso prendere in prestito le parole di Friedrich Nietzsche Pasolini è morto quando esisteva ancora il muro di Berlino, quando c’era il Pentapartito e Aldo Moro ed Enrico Berlinguer si stringevano la mano dopo aver concluso il compromesso storico. Niente di più lontano dal mondo di oggi e dalle sue frenesie, eppure quanta verità nelle sue parole, quanta lucidità nell’analizzare la società! Pier Paolo Pasolini è morto, questo nessuno lo può negare, ma è oggi più vivo, più attuale che mai, forse più di quanto non lo fosse ai suoi tempi. Certo è che fu un uomo che visse in grande solitudine e mestizia, che altro non sono che l’altra faccia della sua grandezza: “La mia indipendenza, che è la mia forza, implica la solitudine, che è la mia debolezza.” scriverà lui stesso È l’obolo che pagano i grandi alla storia: l’abbandono, lo sdegno dei contemporanei. Nietzsche lo diceva già nel 1887: quando asseriva che “il nichilismo è alle porte”, sapeva già che le sue parole “le capirete fra 50 anni”. Noi ce ne abbiamo messi più di 100, ma con Pasolini stiamo migliorando i tempi. L’idolatria li definirebbe visionari, l’opinione pubblica geni, io li direi semplicemente incompresi All’inizio parlavo di come, in prospettiva, tutte le vicende degli anni passati mi abbiano fornito gli strumenti necessari per leggere il presente. Qui sta la differenza fra l’uomo comune, di mondo come sono io, come siamo tutti, e Pasolini, perché di Poeti, avrebbe detto Moravia, “ne nascono tre o quattro al secolo” I poeti, gli incompresi, i geni, i visionari (insomma chiamateli come vi pare) vivono e pensano al contrario, e per questo sono così unici e soli: dove noi, conoscendo il passato, capiamo il presente, loro capiscono il futuro, dove noi ci lanciamo fatalmente al buio, loro vedono la nostra, la loro fine Come Cassandra, anche loro rimarranno inascoltati finché la loro profezia non diventerà realtà, finché la loro Troia non andrà in fiamme. Forse per l’opinione pubblica sarebbe ora di cambiare questo triste vizio più che millenario. Ad esempio, dando ascolto, se non ad una bambina con le treccine e l’impermeabile giallo, almeno agli scienziati di tutto il mondo