Al di là del Muro, lo spartiacque di un millennio

Per alcuni, il ‘900 è finito con la caduta del Muro di Berlino, il 9 novembre 1989. Chi c’era al di là di questo? In quale mondo ci ha lanciato quel ab sofort, il “da subito” pronunciato dal portavoce Schabowski? Ne abbiamo parlato con la professoressa Flavia Ricci, docente di Storia e Filosofia

di Lorenzo Cirelli

9 novembre 1989, cade il muro di Berlino. Pochi mesi dopo, lo scrittore Peter Schneider scrive: “La vita senza il muro pone soprattutto una domanda: riusciremo a vivere senza un nemico?” Professoressa Ricci, ci riusciremo?

Non penso, perché morto un nemico se ne fa un altro, come il Papa, per cui la caduta del muro ha solo significato la ridefinizione di equilibri internazionali. Probabilmente, secondo alcuni interpreti contemporanei, al nemico sovietico si è sostituito il nemico islamico. Anche nella filmografia, nell’immaginario collettivo: il cattivo non è più il rosso, ma è diventato il musulmano e il guerriero jihadista. Per cui un nemico verso cui orientare i malumori dell’opinione pubblica, a cui delegare le responsabilità della crisi è funzionale al potere.

Umberto Eco, nel suo saggio Il fascismo eterno scrive: “Il modo più facile per far emergere un complotto è quello di far appello alla xenofobia. Ma il complotto deve venire anche dall’interno: gli ebrei sono di solito l’obiettivo migliore, in quanto presentano il vantaggio di essere al tempo stesso dentro e fuori” 1. Penso alla comunità romana, presente da secoli nel territorio capitolino. Crede che la caduta del muro, che dunque ha assottigliato i limiti, la differenza fra fuori e dentro, abbia portato ad una ricerca più facile del nemico all’interno?

Sì, ma bisogna capire se si intende nemico politico o etnico. Però, in epoca contemporanea, una recrudescenza dell’ostilità nei confronti dei rom o delle comunità di immigrati si colloca nella logica di Eco. Il nemico interno è comodo, soprattutto se corrisponde ad un determinato stereotipo sociale: in termini di abbigliamento, di pregiudizio… Questa ricerca non ha a che fare con una realtà storica: gli untori non sono mai esistiti, eppure li hanno cercati per secoli.

Tornando al muro: Byung-Chul Han ha descritto la sua caduta come il passaggio da un’epoca immunologica, ovvero dove “il Proprio si afferma nell’Altro negandone la negatività” 2, a una società del positivismo, dove, in assenza dell’Altro, il Proprio non trova una sua dimensione, un suo perché, e, infine, sé stesso. Dunque, qual è stata, sul piano politico e storico, l’importanza del limes? Dove si ritrova, ad oggi, questo confine fra il Proprio e l’Altro, se si trova?

Il limite serve a definire sé stessi per contrasto rispetto all’Altro. Questi confini penso siano soprattutto nella mente, e forse si dovrebbe costruire una cultura di superamento del limite, e non di nascondimento al di qua di questo, perché rimane una cultura di chiusura. La terra vista dallo spazio non ha confini, non ha barriere. Si dovrebbe lavorare su un piano educativo e politico nella direzione dell’abbattimento del limite. Questo significa ridefinire certe categorie concettuali e antropologiche, ma uscire dagli schemi è sempre faticoso. È controintuitivo. Ci dovrebbero essere delle forze sociali e politiche disposte a mettere in gioco la loro credibilità, il proprio appeal sull’opinione pubblica per un lavoro di riqualificazione culturale della società. Non mi sembra che si vada in questa direzione: dal Messico, alla Turchia…

… all’Europa stessa.

All’Europa stessa, che sta facendo del Mediterraneo una grande barriera di cadaveri, purtroppo.

Penso ad una frase di Georg Simmel: “L’uomo è l’essere confinario che non ha confini” 3. A tal proposito Remo Bodei, che ci ha lasciato poche settimane fa, aggiungeva che, proprio nel trovarli, l’uomo spesso li supera. Questo compito se l’è precluso specialmente la società occidentale: penso, ad esempio, allo sbarco sulla luna 4. Il limite dunque come capacità di riconoscere le proprie capacità e possibilità, già dal gnothi seauton greco. In assenza di questo, dove arriviamo, o dove non arriviamo?

Secondo me c’è una differenza importante fra lo sviluppo tecnologico e quello antropologico, ossia il limite come stimolo da superare nell’evoluzione tecnologica ha una sua efficacia, anche per porsi il problema del rapporto fra Scienza ed Etica, ovvero: “dove arriviamo se non ci diamo un limite?”, ad incrociare la pecora con la gallina, alla clonazione umana per l’esercito, come in Star Trek. Anche lì, superando i limiti si risolvono i problemi: non si può impedire lo sviluppo temendone le conseguenze. Del resto la Scienza non è né buona né cattiva, dipende dall’uso che se ne fa. Altro è il limite culturale, antropologico, inteso come definizione dell’Altro da me e quindi nemico. Un’ Alterità che quindi è funzionale al mantenimento del potere della classe dirigente. Questo ritengo che non sia foriero di nessun processo di sviluppo, di nessun beneficio per la collettività. È solo una maschera dietro cui si nasconde una debolezza ideologica e politica.

Mi sembra che si venga a delineare un qualcuno al di là del muro, un Altro che, se da una parte spaventa ed è utilizzato, come accennava, in modo demagogico, dall’altra è una figura che genera curiosità per il suo esotismo. Sempre Han descrive l’Altro come “mistero, seduzione, Eros, desiderio, inferno, dolore” 5. Crede sia necessario un equilibrio fra queste due facce dell’Altro? Crede che ciò possa restituire, rivalutare il valore del limite?

Sì, se il limite è trasparente. Se c’è un limite che mi permette di intravedere l’Altro senza denudarlo, senza spogliarlo, senza reificarlo 6, allora questo è utile allo sviluppo e alla crescita, genera quella polarità che è fonte di energia. Se il muro invece è opaco, se lascia dunque solo spazio alla paura, che è il più grande strumento di potere, allora no, non penso che questa rappresentazione sia funzionale, e credo che difficilmente si possa trovare un equilibrio fra l’Altro come risorsa che mi mette in discussione e mi fa crecere e l’Altro come nemico. Tende sempre a prevalere la dimensione dell’Altro come ostile. L’Alterità resta un problema per l’essere umano, perché serve grande sottigliezza e preparazione per cogliere la ricchezza dell’Altro.

Con la globalizzazione, con lo sviluppo – interessante la distinzione che pone Pasolini fra Progresso e Sviluppo – noi siamo circondati da Altri, da estranei. Già Baudelaire, nel suo Spleen de Paris, ci fa notare, a tal proposito, la figura del flâneur. C’è una grande differenza fra il soggetto di Baudelaire, penso anche alle Passeggiate Romane di Stendhal, e il flâneur di oggi, che si fa passare gli Altri accanto senza mai toccarli effettivamente, ma, semmai, sfiorandoli. Il filosofo Kwame Anthony Appiah fa notare che “soltanto negli ultimi due secoli […] siamo arrivati a un punto in cui ognuno di noi può realisticamente immaginare di entrare in contatto con uno qualsiasi” 7. Sarebbe dunque difficile, se non impossibile, intercettare tutte queste esistenze. Come si ritrova questo contatto con l’Altro?

Da docente, ti dico studiando, dedicando tempo a sé stessi e alla riflessione: meno dispersione tra la folla, più qualità nei rapporti. Anche stando tra la folla certo, però riconoscendo e rispettando in ciascun elemento la persona umana, nella sua unicità e dignità. Ma questo richiede sforza, richiede studio, applicazione, labor. Dialetticamente, l’Alterità si supera con “la fatica del concetto” 8, con “l’immane potenza del negativo” 9. È uno sforzo che mi sembra pochi siano disposti a fare, che va in controtendenza con la cultura contemporanea del tutto e subito. Così l’Altro resterà una minaccia, perché quello che non si conosce prima di tutto suscita sospetto. Quindi studiamo.

Nel Crepuscolo degli idoli Nietzsche spiega che per imparare a vedere bisogna “assuefare l’occhio alla calma, alla pazienza, al lasciar-venire-a-sé” 10. Chiaramente, in una società così caotica e frenetica è impossibile. A tal proposito, uno studio ha messo in evidenza come, fra i giovanissimi, il 28% predilige come primo intervento di chirurgia plastica l’Otoplastica, perché “psicologicamente l’orecchio ci costringe ad ascoltare” 11, e dunque torniamo a quel rapporto anche doloroso con l’Altro di cui parlava Han. Come il docente, il magister può educare a questa cultura dell’ascolto? Come può conciliare il lasciar-venire-a-sé con la velocità dei nostri tempi?

Innanzitutto – e lo dice Aristotele -, con l’esempio: nessun maestro è credibile se non assume per primo l’atteggiamento che auspica abbiano i suoi discepoli. È quindi un percorso che si fa insieme, mantenendo vivo uno scambio. Chiaramente dipende dalle fasce di età, però c’è sempre modo di costruire un’interazione proficua fra i due, superando dunque la struttura tradizionale dicotomica fra docente e discente, cercando di comprendere che è solo insieme che si può raggiungere un risultato, in una crescita, un apprendimento che è reciproco, ciascuno in base alle proprie potenzialità. Credo sia una strategia efficace: un ascolto attivo, reciproco, non unidirezionale. Un docente che non ascolta non può insegnare ad ascoltare.

Ovvero, tornando al muro, cercando di superare il limite.

Certo. Cominciare a smontare il muro da tutte e due le parti. Sento il rumore dell’altro che scava, e questo mi incoraggia a scavare. Anche se le sue mani sono più piccole o i suoi attrezzi più deboli.

(foto © LaPresse)

BIBLIOGRAFIA

1 U.Eco, Il fascismo eterno, La nave di Teseo 2018

2 Byung-Chul Han, Müdigkeitsgesellschaft, La Società della stanchezza, trad. Nottetempo 2012

3 G. Simmel, Brücke und Tur, Ponte e porta, trad. Archetipo libri 2011

4 R. Bodei, Limite, Il Mulino 2016

5 Byung-Chul Han, Die Austribung des Anderen, L’espulsione dell’Altro, trad. Nottetempo 2017

6 K. Marx, Das Kapital, Il Capitale vol. I, trad. UTET 2017; G. Lukacs, Geschichte und Klassenbewusstsein, trad. Storia e coscienza di classe, SugarCo 1997; M. Heidegger, Sein und Zein, Essere e Tempo, trad. Longanesi 2005

7 K. Appiah, Cosmopolitanism: Ethics in a world of Strangers, Cosmopolitismo: L’Etica in un mondo d’Estranei, trad. Laterza 2007

8 F. Hegel, Phänomenologie des Geistes, La Fenomenologia dello spirito, trad. Bompiani 2000

9 F. Hegel, op. cit.

10 F. Nietzsche, Götzen-Dämmerung, Il Crepuscolo degli Idoli, trad. Zanichelli 1996

11 Dati ASPS (American Society of Plastic Surgeon)