Voto ai sedicenni

Riguardo la proposta di abbassare l’età del voto a sedici anni, all’interno del nostro istituto abbiamo
fatto un piccolo sondaggio tra gli alunni delle classi terze, chiedendo loro se fossero favorevoli o
meno. In merito a questo argomento ci è sembrato opportuno approfondire la questione alla luce
della discussione che si è aperta tra i politici.
Di fronte al continuo invecchiamento della popolazione italiana, dovuto da un lato sia all’aumento
dell’aspettativa di vita grazie ai progressi scientifici sia al drammatico calo delle nascite, la nostra
penisola diventa sempre di più un paese per vecchi, dove i giovani sono sistematicamente messi in
inferiorità numerica da quest’ultimi.
Ciò nonostante, a seguito delle numerose manifestazioni portate avanti proprio dagli adolescenti,
per quanto riguarda la spinosa e delicata questione dei cambiamenti climatici, non c’è da stupirsi
che diverse personalità di punta del panorama politico italiano abbiano colto la palla al balzo,
proponendo di abbassare l’età minima per il voto a 16 anni. Quest’idea torna a suscitare forte
interesse con il recente intervento dell’ex presidente del Consiglio Enrico Letta, che nella prima
pagina del giornale La Repubblica, in un articolo intitolato Facciamo votare i ragazzi di Greta
propone una responsabilizzazione dei più giovani concedendo loro il diritto di voto: «È un modo
per dire a quei giovani che abbiamo fotografato nelle piazze, lodando i loro slogan e il loro
entusiasmo: vi prendiamo sul serio», ha detto Letta, e la sua proposta è stata immediatamente
accolta con favore da quasi tutti i partiti e i leader politici. In realtà questa iniziativa era già stata
proposta da Walter Veltroni, nel 2007 quando divenne segretario del Partito Democratico e in
seguito, nel 2015 dalla Lega Nord, ma alla fine non se ne fece nulla.
L’Italia non sarebbe il primo paese a fare questa scelta. In Europa quattro paesi hanno già abbassato
i limiti di età al voto: Austria, Grecia, Malta e Ungheria e nel resto del mondo il diritto al voto è
esteso ai sedicenni in Argentina, Brasile, Nicaragua, Cuba, Ecuador, mentre in Indonesia e Timor
Est si vota dai 17 anni in su.
Gli obiettivi alla base della proposta sono essenzialmente due: uno è quello di responsabilizzare e
dare voce ai più giovani che, per questioni generazionali, economiche e sociali sono svantaggiati,
sotto-rappresentati e poco ascoltati da media e istituzioni; un altro, un po’ più cinico, è il tentativo da
parte della classe politica di conquistare elettorato, aggredendo in modo efficace il mondo degli
astenuti. Numeri alla mano i 16-17enni residenti in Italia oggi sono oltre un milione.
Per i più convinti sostenitori di questa riforma, la riduzione del limite d’età di voto è la naturale
prosecuzione delle grandi battaglie politiche combattute nell’ultimo secolo per allargare il bacino
dell’elettorato, la più grande delle quali fu probabilmente quella per il suffragio femminile, vinta in
quasi tutto il mondo cosiddetto sviluppato tra la fine dell’Ottocento e gli anni Cinquanta del secolo
successivo. E il successivo superamento di altri generi di discriminazione legate al censo e al livello
d’istruzione, è avvenuto fino a buona parte dell’ultimo secolo in moltissimi paesi che non
permettevano agli analfabeti di partecipare alle elezioni oppure, obbligavano i cittadini a superare
un test per ottenere il diritto di voto. La giustificazione che si adottava all’epoca era che gli
analfabeti e le persone poco istruite non erano in grado di cogliere le sfumature della politica e per
questo non avevano diritto a dire la loro su come la società andasse organizzata. In realtà sappiamo
oggi che questa limitazione serviva soprattutto a colpire i membri più deboli della società ed i
gruppi etnici oppressi che, con il loro voto avrebbero potuto ottenere un cambiamento dell’ordine
sociale ed economico. I test di cultura e alfabetizzazione costituirono per decenni uno dei principali
strumenti delle leggi cosiddette “Jim Crow” con cui nel sud degli Stati Uniti veniva legalmente
impedito ai neri di votare.

E’ doveroso ricordare, che più volte l’età minima per il voto è stata abbassata, prima della Seconda
guerra mondiale era necessario avere 21 anni o più per votare in quasi tutto il mondo. Solo negli
anni Settanta, anche in seguito alla contestazione giovanile del decennio precedente, molti paesi
abbassarono a 18 anni il diritto di elettorato attivo e passivo (cioè quello di essere eletti, oltre che di
votare). Nel Regno Unito accadde nel 1969, negli Stati Uniti nel 1971, in Canada e Germania Ovest
nel 1972, in Australia e Francia nel 1974 e infine nel 1975 anche in Italia. All’epoca i detrattori di
quella legge ritenevano che i giovani fossero troppo irresponsabili e che concedendo a loro il voto
sarebbero seguiti una serie di disastri.
Chi è contro pensa che i sedicenni non siano sufficientemente maturi, istruiti e consapevoli per
votare, sapendo cosa stanno facendo. C’è anche chi si preoccupa perché gli elettori più giovani, alle
ultime elezioni, hanno votato in massa partiti estremisti e populisti, che promuovono valori che
sembravano mettere in discussione l’ordinamento democratico della società.
Il giornalista Nikolaus Piper ricorda che è falsa l’idea che gli elettori debbano essere informati o che
debbano avere esperienza per potere votare: ai maggiori di 18 anni, infatti, non si chiede di essere
informati o preparati, e nessuno pensa di ritirare il diritto di voto ai malati di Alzheimer o agli
anziani affetti da demenza senile. Ci sono poi benefici concreti nel dare il diritto di voto ai più
giovani, prosegue Piper, per esempio può aiutare a renderli più interessati e partecipi alla vita
politica del paese. Egli ci offre anche delle prove. Infatti, secondo un recente studio pubblicato
nell’aprile del 2017, incentrato sul voto degli under diciotto in Austria e Norvegia viene evidenziano
che il voto dei più giovani è ponderato e consapevole tanto quanto quello dei concittadini più
anziani. L’essere pochi, però, li ha resi un elettorato trascurabile, perché mirare al loro consenso
porterebbe meno vantaggi elettorali che mirare a quello dei più anziani, così le loro istanze
rimangono inascoltate.
Il trend è difficile da rovesciare, anche perché l’Italia si fa sempre più un paese di anziani per
anziani, con i giovani costretti a emigrare e un debito pubblico che cresce per finanziare riforme
dedicate essenzialmente alla popolazione over 50. Non a caso la generazione under 37 è stata la più
colpita dalla crisi, mentre per gli over 37 invece la crisi ha avuto un impatto molto meno rilevante.
Riformare la legge elettorale, e abbassare a 16 l’età elettorale in uno scenario simile, sarebbe
innanzitutto un atto politico, un messaggio di apertura e di cambio, anche se tardivo, di prospettiva.
Proprio alla luce di una mancanza di una percepita attenzione da parte della classe politica per i
giovani è nata l’esigenza di proporre l’abbassamento del voto elettorale, esigenza sottolineata da
Beppe Grillo, 71 anni, che con una provocazione tra il cinico e lo spaventoso ha detto di voler
togliere il voto agli anziani. Questo perché, ha tentato di dimostrare il comico e fondatore del
Movimento 5 stelle, superata una certa età i cittadini sarebbero meno preoccupati del futuro sociale
rispetto ai giovani o ai non ancora nati che però dovranno subirne le conseguenze.
Risulta evidente che i più giovani hanno anche molti più interessi in gioco dei più anziani quando
arriva il momento di decidere il futuro, se non altro perché hanno molto più tempo da trascorrere
nelle società le cui forme e caratteristiche vengono decise al momento del voto. E da maggiori
interessi in gioco, prima o poi, derivano di solito un maggiore interesse e una maggiore assunzione
di responsabilità. Ricordiamo che la moderna democrazia d’oggi è basata in gran parte sull’idea che
non esistano decisioni “giuste” per tutti, ma che la politica sia costituita dalla complicata
composizione di interessi differenti, e che il modo migliore di conciliarli sia tramite un voto
democratico il più esteso e rappresentativo possibile.
A questo punto il risultato del sondaggio c’è parso sorprendente infatti su un totale di 104 voti,
solamente 14 voti (che corrisponde al 13,4%) erano favorevoli a questa iniziativa. Le motivazioni
dietro a una così dura presa di posizione sono da ricondursi verosimilmente a un genuino
disinteresse, o dalla mancanza di una preparazione “civica” da parte della scuola italiana, o ancora
dal ritenere che non sia più l’idea ma la prassi operativa che supera il concetto “ideologico politico”
che da questo punto di vista ha innegabilmente mostrato la propria fragilità, e infine al fatto di non sentirsi ancora a quell’età abbastanza maturi e quindi facilmente influenzabili oppure in ultimo ad
un’evidente perdita di fiducia nei confronti della politica italiana odierna.

Di Matteo Usai