(Pan)Gea: la terra di plastica

Protagonista di questo bellissimo racconto di fantasia è una splendida eroina di nome Gea: piccola ma matura, sensibile, intelligente, temeraria e generosa.

Forse non ci sarà nessuna Gea che ci ricorderà del nostro mondo. Spetta a noi pensare alle conseguenze delle nostre azioni. Spesso dimentichiamo che vittime dei nostri errori sono anche gli animali dolci e coraggiosi come Gea, che noi costringiamo a lottare per la sopravvivenza. Buona lettura!

 

(Pan)Gea: la terra di plastica, di Elisa Tendas

Mai avrei pensato che la mia casa non fosse altro che un accumulo di plastica e che, per colpa di quell’animale più evoluto di noi, comunemente chiamato uomo, il mondo di una volta non ci fosse più, quel mondo che io non ho mai conosciuto.

Non dimenticherò mai il giorno in cui sono nata: la prima cosa che ho visto sono gli occhioni di mamma che mi guardava e non le importava se eravamo circondati da plastica e io ero nata in una misera bacinella…

Era questione di qualche giorno e nell’Oceano Pacifico sarebbe nata la piccola Gea, la fochetta che, secondo la tradizione, avrebbe salvato la specie animale. Gea, infatti, era l’unica tra tutti gli animali che era riuscita a sopravvivere al parto. La piccola viveva con i genitori su una barca abbandonata e si nutrivano di pesci solo quando era veramente necessario. Per Gea era normale crescere su un’isola di plastica; infatti dormiva dentro uno pneumatico e giocava con i tappetti di plastica.

Le provviste stavano per finire ed era il momento di andare a cercare cibo. Il problema era che loro vivevano su un’isola di plastica e per arrivare in mare bisognava camminare per chilometri e chilometri tra plastica e bottiglie.

Il papà, essendo il capo famiglia, si sacrificò e andò a cercare del cibo. Passarono alcuni mesi ma del papà di Gea si persero le tracce; non c’erano speranze: mamma e figlia si disperarono, senza papà la famiglia non era più la stessa.

La piccola cresceva con il rimorso della scomparsa del padre, ma sapeva che ormai non si poteva fare niente. Gea vedeva la madre che piangeva e le spiegava che avrebbe voluto per lei un futuro migliore; la madre le rivelò anche che il suo nome significava Terra e che glielo avevano dato perché lei avrebbe salvato il mondo: era l’unico animale che parlava la lingua dell’uomo. Lei era l’unica che avrebbe potuto spiegare all’uomo cosa stava succedendo all’Oceano e soprattutto alla specie animale.

La piccola foca avrebbe dovuto attraversare l’Oceano e arrivare sull’isola dell’uomo.

Fu allora che Gea capì che quel mondo di plastica che la circondava e che sembrava tanto normale in realtà non era altro che un pericolo per animali e uomini.

Ripensò alla sua giornata quotidiana: forse non era cibo quella cosa di forma cilindrica e di color trasparente in cui lei ci si ritrovava spesso il muso.

Non era normale frugare con le proprie zampette tra la plastica per trovare qualcosa da mangiare.

Quello che Gea si limitava a mangiare era l’avanzo lasciato in una lattina di tonno.

Gea cresceva con la paura di non riuscir a portar a termine la sua vita, di vedere la mamma morire, di perdere anche lei come aveva perso il papà.

La mamma, però, si pentiva di aver detto a Gea che era l’unica che poteva salvare il mondo: non sarebbe sopravvissuta se anche Gea fosse morta, non ce l’avrebbe fatta senza di lei.

Però non era felice perché lei stava fallendo: il pianeta di plastica si stava allargando mentre  gli animali, al contrario, diminuivano.

Cos’è che poteva fare, d’altronde? Lei era solo un animale e non aveva fatto niente per inquinare la Terra.

Gea era ormai diventata grande e con lei le isole di plastica. Si innamorò di un suo simile e presto partorì dei cuccioli.

Se lei, a fatica, era riuscita a sopravvivere in un mondo di plastica, di certo, ora che la plastica aveva inondato il pianeta, i suoi figli non sarebbero sopravvissuti più di qualche giorno senza cibo e acqua di cui nutrirsi.

I giorni per Gea e la sua famiglia passavano sempre più lentamente; adesso cominciava a fare anche sempre più caldo.

Finalmente arrivò il gran giorno: Gea prese più provviste possibili e partì per la sua missione…

Impiegò esattamente tre settimane per attraversare le isole di plastica e un mese per arrivare sull’isola dell’uomo.

Nessun animale aveva mai avuto il coraggio di camminare sulla terra dell’uomo perché tutti avevano paura che l’uomo potesse far del male a uno di loro.

Gea, però, non aveva paura: l’unica cosa che le importava era salvare la sua terra, far capire agli uomini cosa provano gli animali.

Con rabbia Gea raccontò all’intera umanità la sua vita: disse che il papà era morto per colpa della plastica gettata dall’uomo stesso; era colpa sua se lei non viveva su un pianeta normale, diverso da quello di una volta, quello che la mamma aveva sempre sognato che vedesse.

Quasi le scendevano le lacrime agli occhi perché lei avrebbe voluto per se stessa e per i suoi figli un futuro migliore, ma questo non era possibile per colpa dell’uomo.

Tutti applaudirono e Gea tornò a casa dopo un mese di lungo cammino… su montagne di plastica.

La mamma di Gea, appena la vide, cominciò a piangere di gioia. Gea la salutò mentre avanzava, ma in quel momento cadde a terra mentre la mamma continuava a correrle incontro…

Gea le sfiorò la zampa e disse: “Grazie mamma perché hai reso la mia vita più leggera e senza preoccupazioni … Addio, mamma”.