Intervista: Una vita in viaggio

Ho deciso di intervistare un’amica di famiglia, Tracy, una simpatica 50enne che ha viaggiato molto nella sua vita, fin da bambina. L’ho sempre trovata molto interessante.

“Mi chiamo Tracy, sono italo-australiana, padre italiano e madre australiana, per cui ho la doppia cittadinanza ed entrambi i passaporti. Ho viaggiato tantissimo: a tre anni ero già stata in Germania, Grecia, Romania, Bulgaria e Israele”.

“Ma questi viaggi li avete fatti per lavoro o per vacanza?”

“Mio padre è un pittore, quindi non ha mai avuto limiti di orario. Ha sempre vissuto della sua pittura, a parte quando è stato un professore all’Accademia di Belle Arti a L’Aquila. Poteva, quindi, dipingere dove voleva. Quando ero piccola trascorrevamo dei mesi in Puglia, da marzo fino ad ottobre circa, dato che papà è di Lecce. Lui dipingeva, aveva sempre una stanza che utilizzava per farlo, mentre noi andavamo in spiaggia. Ricordo che da bambina, avrò avuto 10 anni, abbiamo attraversato in macchina, partendo da Roma, buona parte della Spagna in due mesi. È stato un viaggio bellissimo”.

“Quando sei andata per la prima volta in Australia?”

“La prima volta che sono andata avevo 5 anni e sono rimasta per, più o meno, 8 mesi. Io infatti non ho mai frequentato la stessa scuola a lungo, dai 5 ai 16 anni i miei anni scolastici sono stati divisi fra l’Italia e l’Australia. Ho fatto un po’ qui e un po’ lì, diciamo così. Per questo motivo, infatti, posso affermare di preferire la scuola australiana, il sistema scolastico è completamente differente da quello italiano: quello italiano è tutta teoria, si studia praticamente solo sui libri, mentre quello australiano è molto, molto più pratico. Avevamo un sacco di laboratori che frequentavamo quotidianamente, come quello di chimica, biologia e fisica. Restando nell’ambito scientifico, pensa che facevamo anche esperimenti di matematica. La mia scuola è stata anche una delle prime ad avere i modellini delle rane sezionate, per non sezionarne delle vere. C’erano inoltre dei corsi che potevamo cambiare ogni tre mesi e che ti insegnavano a cucire, cucinare, costruire con il legno, aggiustare le macchine e uno che riguardava il bestiame, avevamo infatti le pecore e le galline. Avevamo, inoltre, i ratti bianchi, di cui studiavamo la riproduzione e la vita sociale.

Entravamo a scuola alle 9 e uscivamo alle 15:15 e per me, essendo una sportiva, era molto positivo in quanto mi svegliavo alle sei del mattino per andare a correre in spiaggia e per andare a fare una nuotata. Uscita da scuola ritornavo subito in spiaggia, principalmente per fare surf. Era così infatti che trascorrevo i miei pomeriggi, non li passavo a studiare. Le nostre lezioni erano organizzate in modo tale che non avessimo compiti da fare all’infuori dell’orario scolastico: in un’ora facevamo 45min di lezione vera e propria e i restanti 15min li sfruttavamo per studiare. Inoltre, noi non avevamo dei nostri libri di testo, non serviva che li comprassimo poiché usavamo quelli che stavano nelle classi e, nel caso in cui ci servivano anche dopo le lezioni, potevamo andare in biblioteca per utilizzarli, durante la ricreazione o il pranzo, o comunque fino alle 17:15. Se ci servivano anche all’infuori di questo orario ce li potevamo portare a casa, ma solo dopo averli registrati. Importanti nella nostra scuola erano anche gli sport, tant’è che un giorno alla settimana era quasi interamente dedicato a questi: facevamo una sola ora di lezione e per il resto della giornata scolastica facevamo sport. Avevamo dei campi sportivi enormi e una vasta scelta, come rugby, basket, calcio, tennis, pallavolo ed atletica. Se, però, ne volevi praticare uno differente da quelli proposti, dovevi pagare una quota di 12 dollari al trimestre in quanto dovevi pagare il costo della struttura sportiva ospitante, che appunto non faceva parte di quella scolastica, e del pullman che ti portava. Sicuramente adesso la quota sarà aumentata. Se possiamo dirlo, la maggior parte delle scuole australiane era, ed è tuttora, fissata con gli sport, soprattutto con il rugby, che possiamo considerare lo sport nazionale, come il calcio in Italia.

“Ed il surf?”

“Il surf è considerato più un passatempo per l’australiano, ovviamente più per quello che abita lungo la costa che per quello che abita nell’interno. Il surf è come lo scii per chi abita in montagna: lo impari da bambino ed è una cosa del tutto normale, anzi, viene ritenuto strano non praticarlo e non saperlo praticare, soprattutto per gli adulti. Pensa che in spiaggia vedi questi bambini di 3-4 anni con le loro tavolette da surf. È del tutto normale. A proposito della spiaggia, quando fai quella che qui in Italia corrisponde alla prima media ti fanno fare obbligatoriamente un corso di lifesaver, durante il quale ti insegnano il primo soccorso. Dura circa tre settimane: la prima è quella del primo soccorso e della ronda sulla spiaggia; durante la seconda invece ti fanno salvare chi annega, sia con la loro barchetta sia con la tavola da salvataggio, che è più grossa di quelle normali; la terza ed ultima settimana ti fanno stare in torre, che ogni spiaggia deve obbligatoriamente avere. Ti fanno stare in torre principalmente per farti vedere quand’è che bisogna suonare l’allarme: se, ad esempio, vedi uno squalo troppo tardi vuol dire che sta già tra la gente e che quindi tu non puoi suonarlo; farlo equivarrebbe a creare una tragedia. Devi infatti aspettare che si allontani”.

“E questo perché?”

“Perché se lo fai crei movimento in acqua, nonostante comunque agli australiani sia stato insegnato ad uscire dall’acqua in modo tranquillo, perchè se qualcuno lo tocca accidentalmente è la fine. Lo squalo infatti attacca solo se viene toccato, se l’acqua si “agita” troppo o se ti confondono per una foca. Infatti gli attacchi di squali avvengono soprattutto sui surfisti in quanto, a causa delle mute nere, vengono confusi per delle foche. Da quando si è capito si è iniziato a vendere anche mute di altri colori, come il verde o il blu. Agli squali non piace la carne umana, alcuni studi riportano che non sono mai stati trovati resti umani digeriti negli squali, poiché quest’ultimi li rigettano fuori. A loro piace la carne, appunto, di foca. Ti voglio raccontare un episodio che ho avuto la fortuna di vedere in torretta, dato che stiamo in tema. A largo, molto molto lontano dalla costa, c’era questo surfista che ad un certo punto si è reso conto di essere circondato da tre delfini. Poi, però, ha notato anche la pinna di uno squalo e ha capito che i delfini lo stavano proteggendo da quest’ultimo. Accortosi dello squalo, ha iniziato piano piano a rientrare, a tornare a riva, con i delfini al suo seguito. Credo che questo sia stato un episodio straordinario. A 20 anni circa mi ero stancata di praticare sport e ho deciso di intraprendere il percorso della recitazione, una passione di cui fino a quel momento non avevo mai parlato. Mi sono iscritta a un corso con uno degli insegnanti dell’Accademia di Arte Drammatica e appena finito mi sono voluta traferire a New York per continuare a studiare lì, alla Lee Strasberg Theatre and Film Institute. Da quel momento in poi la mia vita si è incentrata sulla recitazione. È da trent’anni che recito, principalmente in inglese. Ho fatto molti spettacoli a teatro e un paio di film indipendenti, di cui uno mi ha dato molte soddisfazioni: girato circa tre anni fa ed in inglese, ha vinto un festival di Philadelphia come miglior film straniero. Dopo aver abitato a New York per sedici anni ed essere tornata in Italia, spostandomi di città in città, adesso vivo a Roma, ma mi piacerebbe trasferirmi a Londra per fare qualche altro corso, probabilmente alla RADA, ovvero alla Royal Academy of Dramatic Art.”

Ludovica Maria Fasolo, 4°M