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‘CONTRIBUTO VOLONTARIO’ ALLE SCUOLE: PERCHÉ LE FAMIGLIE NON LO VERSANO

PERCHÉ NON SI PUNTA SULL’ISTRUZIONE? IL ‘CONTRIBUTO VOLONTARIO’ E PERCHÉ LE PERSONE NON SONO INVOGLIATE A VERSARLO 

 

Il fatto che il nostro governo investa poco sull’educazione è indiscutibile. Le scuole cadono letteralmente a pezzi e i laboratori sono provvisti, sempre che ce ne siano, di strumenti datati. Nondimeno questi fondi sono essenziali: come studenti, il nostro futuro ne dipende. È grazie ad essi che possiamo formare persone consistenti. Allora, se il governo non mette questi soldi, chi deve? Ebbene, avete mai sentito parlare del “contributo volontario” che ogni scuola annualmente richiede? Cercheremo di capire come possiamo arginare il fatto che il budget italiano per l’istruzione scenderà del 4,3% per il 2022 (università incluse). 

Siamo nel 2007, l’obbligo di frequenza della scuola italiana sale fino ai 16 anni, corrispondenti alla terza superiore. Ciò significa che l’Italia, in linea con l’art.26 dell’ONU, si fa virtualmente carico di tutte le spese di ciascun studente fino al raggiungimento di quel limite d’età. Allora perché ci vengono comunque richiesti una serie di pagamenti annui? 

Iniziamo con il sottolineare che, nella cifra richiesta dalla scuola, figurano (quattro) tasse scolastiche e un contributo volontario: le prime obbligatorie, legate allo stato e alla sua burocrazia; l’ultimo totalmente facoltativo e riscosso dalla scuola di appartenenza. Nel 2013, il MIUR (Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca) si è nuovamente visto costretto a rettificare questa differenza in seguito a “numerose segnalazioni di irregolarità…nella richiesta dei contributi scolastici” (nota n°593 MIUR, invito caldamente a leggerla). Queste accuse erano fondate su una profonda ignoranza ed hanno “danneggiato l’intera amministrazione …e hanno minato il clima di fiducia e collaborazione che è doveroso instaurare con le famiglie” (consultare la pagina “Tasse scolastiche/contributi” sul sito del MIUR per maggiori informazioni). 

Fatta questa premessa, passiamo a definire cosa sia più nello specifico il contributo.

volontario. Nella nota n°312 del MIUR del 2012, leggiamo che “le risorse raccolte…[sono] indirizzate esclusivamente ad interventi di ampliamento dell’offerta culturale e formativa, non ad attività di funzionamento ordinario”, ovvero: le donazioni raccolte sono unicamente destinate alla creazione di nuove realtà e non, ad esempio, alla manutenzione della scuola. Nonostante queste linee giuda, molti istituti, anche grazie ad una manchevole regolamentazione, si vedranno (o si sono visti) certamente costretti ad attingere dai contributi volontari per chiudere i buchi di bilancio che verranno causati da un taglio del budget per la manutenzione del 15% (carta e cancelleria in modo particolare) per il 2022 (rispetto al 2019). Si parla di 2 milioni di euro circa.

Nel caso specifico della mia scuola di appartenenza, grandi lavori sono stati fatti, molte aule sono state aggiornate; eppure ciò non basta. Sono presenti più laboratori ed aule che professori, c’è molto di cui prendersi cura e i soldi sono limitati. Caso iconico è stato quando, per un intero anno scolastico, siamo rimasti senza quattro porte in un bagno. 

Sempre nella nota n°593 del MIUR leggiamo che: “Non sfugge a questo Dipartimento che il contributo delle famiglie rappresenta una fonte essenziale per assicurare un’offerta formativa … elevata …. soprattutto in considerazione delle ben note riduzioni della spesa pubblica…degli ultimi anni”. Comprendiamo pertanto la presa di coscienza di chi gestisce questi budget; i numeri non sono rassicuranti ma queste parole si. Dovremmo ricordarci che tutti noi siamo parte dello stato, parte del problema e quindi della soluzione. 

Se fossimo nell’Impero Romano, useremo il termine latino “Res-Publica” per indicare quell’insieme di proprietà appartenenti ad un’unica popolazione, messa in comune a beneficio di tutti. Ogni cittadino di una democrazia moderna dovrebbe avere questo concetto ben inculcato nella sua mente: ciò che è dello stato è suo ed è lì perché lui, come tutte le persone vicine, possa trarne vantaggio. La scuola non fa eccezione. Non finanziando l’organo che formerà il futuro dello stato, danneggiamo anche il nostro di futuro. Ricordiamoci che in molte scuole mancano gli strumenti di base o gli studenti sono costretti a lavorare in un ambiente non esattamente idoneo. 

In ultima analisi, vorrei soffermarmi su un aspetto, a mio parere, cardine: il coinvolgimento. Rendere le famiglie partecipi dei cambiamenti apportati è l’unico modo per invogliarli ad eseguire donazioni consistenti. La scuola è legalmente obbligata a chiarire ogni spesa effettuata con quei soldi ma un solido “muro di formalità” blocca questa comunicazione. Per porre un esempio: al fine di poter redare questo articolo, mi sono visto costretto a consultare vari documenti, lunghi, con linguaggio ricco e tecnico. Ciò non è un male ma anche Dante Alighieri e Galileo Galilei avevano capito che, se vuoi comunicare il tuo messaggio il più velocemente e a più persone possibili, devi parlare come il popolo. Non sarebbe stupendo se, una volta pagato il contributo volontario, arrivasse un messaggio informale da parte della scuola, con qualche foto allegata, magari su un gruppo WhatsApp, con una breve delucidazione sull’utilizzo di quei soldi. Certamente, anche gli studenti andrebbero coinvolti. Sono loro i diretti beneficiari, dovrebbero per primi vederne i frutti. 

Non si chiede di investire un capitale, situazione finanziaria permettendo, ma superare il limite minimo sarebbe consigliato. Ricordiamoci ancora una volta che è la scuola a formare le menti che poi saliranno al governo e apporteranno i cambiamenti necessari a garantire il benessere collettivo. 

Davide Brunato – IV ALOSA – 21/01/20