Intervista sul trapianto di cuore

Oggi ho incontrato Silvio, una persona come tante, che alla soglia dei 40 anni ha dovuto subire il trapianto della valvola aortica del cuore. Gli ho posto alcune domande sulla sua esperienza per capire meglio com’è la vita di un trapiantato

Buongiorno Silvio. Come prima cosa vorrei chiederti se mi puoi raccontare tutta la tua storia dall’inizio.

Ho avuto questo problema sin dalla nascita. È una disfunzione cardiaca, all’epoca si diceva un soffio al cuore, non sapendo però realmente che tipo di patologia avessi. Quindi sono sempre stato seguito, i miei genitori mi hanno sempre portato dal cardiologo da piccolo, infatti io mi ricordo che quando a 15/16 anni giocavo a pallone dopo 10 minuti non avevo più fiato, una cosa strana per un ragazzo di quell’età. Dopo la morte di mia madre nel 1992, mio padre non era in grado di prendere in mano questa situazione, e io dopo un po’ ho realizzato che se da piccolo andavo dal cardiologo ci doveva essere stato un motivo, quindi iniziai ad andarci da solo. Il cuore è un muscolo che pompa il sangue in tutto il corpo attraverso due valvole: quella polmonare, che è collegata ai polmoni, e quella aortica, che è collegata a tutto il resto del corpo. Ovviamente la valvola aortica lavora molto di più rispetto a quella polmonare. La mia valvola aortica si apriva leggermente meno rispetto al normale e con il passare degli anni questa situazione è andata a peggiorare, fino a che non è giunto il momento di operarsi. All’epoca mi furono proposti due tipi di intervento, che poi diventarono tre. Il primo era sostituire di sana pianta la valvola con una meccanica; questo comportava una durata illimitata della valvola ma con delle controindicazioni: avrei dovuto prendere coagulanti a vita e io avrei sentito un continuo tic-toc. Un’altra opzione era utilizzare la valvola di un maiale o di una mucca, ma avrei dovuto fare un intervento ogni 7/8 anni per ricambiare questa valvola. Poi, per mia fortuna, ho incontrato un medico bravo, che mi ha prospettato un’altra soluzione che all’epoca i grandi cardiochirurghi italiani non praticavano, sostituire la mia valvola aortica con la mia valvola polmonare e al posto della mia valvola polmonare mettere quella di un donatore (procedura di Ross). Io tra queste tre soluzioni scelsi l’ultima, e il medico da cui andai mi consigliò, per un intervento così delicato, di andarmi ad operare dal migliore in questo campo: il dottor Yacoub a Londra. Allora andai a Londra e trovai un’umanità, una gentilezza ed una professionalità da parte di questo professore inarrivabili. Dopo 7 anni da questo primo intervento, nel 2007, ho avuto un’infezione da stafilococco aureo che si è andata a posizionare proprio sulla valvola trapiantata. Questa infezione mi stava portando alla morte e quindi è stato necessario re intervenire subito. Allora il professor Yacoub è venuto in Italia e mi ha operato gratuitamente, sostituendomi la valvola infetta con quella di un altro donatore.

Come mai hai scelto per la prima operazione di non farti operare qui in Italia ma di andare in Inghilterra?

Ho scelto di andare in Inghilterra, come ho già accennato prima, perché in questi casi, per questioni così delicate secondo me bisogna andare dal migliore.

Sei stato operato in una struttura pubblica o privata? Quali differenze hai trovato tra il sistema sanitario inglese e quello italiano?

A Londra sono stato operato in una struttura privata e qui in Italia la seconda volta in una pubblica. Sicuramente ho trovato alcune differenze. Come prima cosa le visite che feci qui in Italia costavano molto di più rispetto a quelle che feci a Londra dal dottor. Yacoub. Secondo, i cardiochirurghi italiani pur conoscendo la procedura di Ross non me ne parlarono, perché loro non la praticavano e per cui non sarebbero stati pagati. Terzo, quando fui operato la seconda volta in Italia, mi dovettero spostare dal Policlinico al Sant’Andrea perché il dottor. Yacoub voleva che io fossi operato lì. L’allora primario non voleva farmi spostare perché voleva fare lui l’operazione e non permise né ad un’autoambulanza pubblica né ad una privata di farmi trasportare da un ospedale all’altro, quindi io sono dovuto andare dal Policlinico al Sant’Andrea in macchina. Quarta ed ultima cosa, quando mi sono ricoverato in ospedale nel 2007, che stavo malissimo, mi hanno fatto aspettare 4 ore, quando in realtà un trapiantato di valvola dovrebbe avere la precedenza perché è a rischio infezione, cosa che io effettivamente avevo. Quindi ad un certo punto ho dovuto firmare, uscire e andare a un altro ospedale dove grazie ad “amicizia” mi hanno fatto entrare subito.

Il trapianto per te è stato una nuova rinascita?

Assolutamente sì. Soprattutto la seconda volta.

Ora come stai? Riesci a conciliare la tua vita e la tua professione con la condizione di trapiantato?

Certamente, la vivo in maniera molto serena, non mi sento un trapiantato, faccio una vita completamente normale. Certo devo avere alcune accortezze ma niente di troppo eccessivo.

Che cosa hai provato quando hai saputo che ti saresti dovuto operare una seconda volta?

In realtà non lo so di preciso. Gli amici mi raccontano che quasi non ero cosciente, ero in uno stato simile all’ubriachezza. Molte cose io le ho sapute dopo; che io ero in grave pericolo di vita non me ne ero reso conto più di tanto.

Questa esperienza che cosa ti ha tolto e cosa ti ha dato?

Sicuramente è una tappa importante, ma come ho già detto prima la vivo in maniera molto serena, come se non fosse successo nulla. Però sono convinto di una cosa: dopo 3 anni dal secondo intervento mio padre è morto di tumore. Papà era anziano però stava benissimo, e secondo me sapendo del fatto che il figlio rischiava di morire, questo gli ha scatenato successivamente la malattia. Poi sicuramente mi ha dato mia moglie e mia figlia. Perché ad un certo punto ho realizzato che non potevo più continuare a condurre una vita così “spensierata”.

Che messaggio senti di dare a chi è in attesa di trapianto? E ai donatori?

Mentre prima ero incerto sul fatto di donare o meno, adesso sicuramente lo farò. Un consiglio che voglio dare alle persone che sono attesa di trapianto ma in generale di un intervento qualsiasi di una certa rilevanza, è di non fermarsi alla prima opinione, di consultare almeno 3/4 medici, di informarsi e di non aver paura di andare anche all’estero.

Lorenzo Bertucci