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Coronavirus e crisi climatica: le altre emergenze da non dimenticare

Milano, 11 marzo 2020 – Le persone, si sa, sono spesso attratte dalle notizie che le riguardano personalmente. Ecco perché dalla fine di dicembre 2019 una nuova forma epidemiologica ha attirato l’attenzione di tutti, dai giovani agli anziani: l’epidemia da Coronavirus, scoppiata in Cina nella città di Wuhan, attacca le vie respiratorie causando sintomi simili a quelli influenzali o, negli individui più vulnerabili, può trasformarsi in una seria polmonite che può terminare con il decesso. Per ridurre il contagio è stata ordinata una mobilitazione generale, tanto che il popolo italiano si è barricato in casa, e sono state indette delle norme igieniche da seguire per evitarne la trasmissione.

 Ormai si parla solo di questo. Ma siamo sicuri che non stiamo sottovalutando altre emergenze altrettanto importanti quali il cambiamento climatico? Com’è possibile che da un mese all’altro la nostra attenzione si sia spostata così velocemente dagli incendi che devastavano l’Australia a un’epidemia che causa meno morti di una normale influenza?

La nostra curiosità è stata così attratta dal virus che abbiamo sentito il dovere di agire in un modo più drastico rispetto a quello con cui affrontiamo il cambiamento climatico. Infatti, tra quello che si fa per ridurre il livello di CO2 e quello per arginare il contagio, c’è una sproporzione: abbiamo un particolare senso di responsabilità per fronteggiare l’emergenza Coronavirus perché il nostro sacrificio è a breve termine; prima o poi finirà tutto e ritorneremo alla vita di sempre. Per il cambiamento climatico non siamo tutti disposti a rinunciare ad alcune nostre abitudini perché il sacrificio durerà per sempre. Ma se le nostre rinunce si frammentassero così da renderle più leggere, quando saremo noi a crescere i nostri figli in un modo ecologico, i sacrifici attuati diventeranno la quotidianità e non saranno più privazioni.

Oltre al modo di agire, le nostre reazioni non sono proporzionate al fenomeno. Appena si è sentito parlare di epidemia la gente ha assaltato i supermercati per acquistare beni di prima necessità e le farmacie per comprare subito le mascherine, tanto che non ce ne sono più in vendita e l’allarmismo si è fatto strada provocando una psicosi collettiva.

Perché quando si è parlato per la prima volta di riscaldamento globale la gente ha aspettato quarant’anni per agire? Semplice: il cambiamento climatico non è sotto i nostri occhi, o almeno non lo possiamo vedere tutti personalmente, soprattutto chi vive in città. L’epidemia invece ha una collocazione: sappiamo ogni giorno quante persone muoiono per Coronavirus, quante lo contraggono, quanti guariscono. Ma non c’è nessuno che dice quanti al giorno muoiono a causa dell’inquinamento. In un anno i morti sono circa 9 milioni, 800mila solo in Europa.

Se dicessimo bene alla gente che siamo tutti a rischio magari qualcosa cambierà lasciando da parte gli interessi economici di ciascuno. 

Per indurre tutti all’azione quindi dobbiamo pretendere atti concreti e misure drastiche di riduzione ma dando un senso di speranza, perché se ciascuno fa la sua parte il lavoro diventa più leggero per tutti.

Ginevra Rizzo 3^D