L’EUTANASIA DELLA SCUOLA

” Possibile che a 16 anni sei convinto che la vita sia la scuola e la scuola sia la vita? Che l’inferno siano le verifiche in classe e il paradiso i giorni di vacanza? E’ possibile che a 16 anni il mondo abbia il diametro del cortile di una scuola? “.

Citazione di Alessandro D’Avenia, noto scrittore dei nostri giorni. Queste parole hanno affollato i miei pensieri, in uno di quei tipici momenti della giornata in cui ti ritrovi a lasciar trascorrere i minuti con gli occhi attaccati allo schermo del cellulare. Tale concetto è rimasto fisso ingombrando la mia testa. Gli evidenti interrogativi posti hanno impegnato  una parte della mia attenzione, poiché gran parte dello sforzo mentale si è occupato di riflettere sulla percezione e sul contesto comune in cui vaga attualmente la scuola. Quest’ultima, evidentemente, non può continuare ad essere un affare di limitati gruppi di individui, ma deve assumere una dimensione sociale, nel senso che ad essa deve partecipare la collettività  con le sue esigenze, le sue critiche, i suoi interessi, le sue prospettive e i suoi suggerimenti. La crisi generale della società italiana si riflette in misura particolarmente grave sulla scuola e nella scuola. Una diffusa sfiducia, un amaro senso d’impotenza e di scoraggiamento accomuna oramai studenti e insegnanti, famiglie e funzionari delle strutture scolastiche. Tale sentimento di frustrazione, largamente condiviso, deriva innanzi tutto dalla sempre rimandata e mai attuata riforma della scuola, la quale avrebbe dovuto adeguare tutta l’istituzione scolastica alle esigenze della società contemporanea, alle attese e ai bisogni dei giovani e alle richieste del mondo del lavoro. Le pochissime e insufficienti innovazioni apportate, sono state realizzate con una lentezza disarmante e pertanto si sono rivelate inevitabilmente inferiori, scarsamente incisive e poco produttive rispetto alle reali esigenze di ognuno e di tutti. Questa politica generale di indifferenza e di piccoli provvedimenti ha finito per provocare una pericolosa perdita di credibilità da parte di tutti in tale istituzione e di conseguenza si va sempre più diffondendo un atteggiamento di qualunquismo educativo, di distacco, di indifferenza e di aperto disprezzo nei suoi confronti e nelle sue effettive possibilità di contribuire a formare i giovani e a migliorare la società nel suo insieme. Alcuni hanno addirittura indicato la scuola come uno dei fattori della crisi che investe drammaticamente il nostro Paese, non soltanto perché è una cattiva scuola, ma anche e soprattutto perché è scuola: vale a dire che la sfiducia è diventata così grave ed estesa che si mette oramai apertamente in discussione non solo l’arretratezza e l’incapacità di quest’ultima, ma la validità della scuola in sé, come scuola e basta. In realtà essa, con tutti i suoi limiti e le sue disfunzioni, promuove pur sempre un accrescimento di capacità critiche, di auto conformismo, di difesa dei diritti individuali e di coscienza politica; e, a sua volta, l’espansione scolastica si traduce come una significativa estensione della democrazia effettiva ed una maggiore capacità di analisi critica e di difesa consapevole da parte delle masse. I giovani muovono giustamente accuse dure con il proposito di ricevere un’educazione diversa e una preparazione migliore, una scuola, in altri termini, che non si risolva in una perdita di tempo per tutti coloro che ne nutrono interesse. Gli studenti hanno completamente ragione quando denunciano che quest’ultima si è ridotta prevalentemente, se non esclusivamente ad un’area di parcheggio, a un luogo per mascherare e contenere la disoccupazione; e continuano a non avere torto quando affermano che essa sia rimasta ancorata a vecchi schemi e modelli, a concetti e metodi superati e inutili. Tuttavia nessuno può e deve fare il gioco di coloro che vogliono svalutarla, il cui mancato o imperfetto funzionamento si risolvono in un danno non solo culturale e civile, ma politico e sociale proprio per noi, nuove generazioni. Il che, ovviamente, non può nemmeno significare un’accettazione passiva e acritica delle attuali istituzioni scolastiche, nel timore che anche la conquista democratica della scuola di massa possa essere messa in pericolo. Occorre, dunque, una presa di coscienza, soprattutto da parte di noi giovani, della funzione indispensabile della scuola e di un conseguente impegno per il rinnovamento democratico di tutta la struttura dell’attività educativa del nostro Paese. La condizione di fondo da cui sono scaturite   le nuove lotte degli studenti è simboleggiata dalla crescente disoccupazione, che si configura come un aspetto e un problema di particolare gravità per l’odierna società. La situazione italiana, infatti è diversa dagli altri paesi europei, nei quali la disoccupazione giovanile è limitata alle nuove leve che si affacciano sul mercato del lavoro, venendone assorbite dalle diverse situazioni economiche di cui sono parte integrante. In Italia, invece la disoccupazione è non soltanto molto diffusa, ma addirittura endemica: di conseguenza alleviarla in un settore significa per forza aggravarla in un altro, favorire cioè alcuni gruppi sociali a danno di altri. In tale situazione, lo slancio produttivo e la migliore organizzazione amministrativa potranno determinare le condizioni idonee a far fronte alla crisi attuale; e solo così possono essere avviati a risoluzione i problemi drammatici che affliggono  l’ odierna società: parliamo dell’inflazione, della recessione, dello squilibrio economico, della disoccupazione, del sottosviluppo del Mezzogiorno. La migliore organizzazione del lavoro, l’incremento produttivo, il dinamismo economico devono tuttavia essere accompagnati anche da una maggiore qualificazione dell’istruzione, che va adeguata alle esigenze e agli obiettivi dell’indispensabile sviluppo economico. La contestazione studentesca è scaturita e provocata da una condizione generale di emarginazione dei giovani e degli studenti. L’attuale società è attraversata da un periodo di complesse difficoltà economiche, di grave incertezza politica e di avvilente crisi morale: il disagio profondo dei giovani e degli studenti non è altro che un aspetto e una conseguenza emblematica del malessere generale del nostro Paese. L’esasperazione per una mancata riforma scolastica si è in tal modo innestata su una condizione oggettiva di preoccupazione, di timori, di speranze, di paure, di malcontento per il distorto sviluppo di una struttura sociale dominata dal privilegio, dalla furbizia, dall’immobilismo egoistico dei gruppi più forti, dall’oppressione e dall’emarginazione di larghe fasce della popolazione. La nuova battaglia studentesca diviene più attenta a temi ed esigenze immediate e concrete, questioni che affondano le loro radici nel quotidiano; ciò non può portare ad altro che a un’irreversibile rottura con le istituzioni. Vera, è anche la condizione di malessere e indignazione dei giovani, primo fondamento di una realtà che non può e non deve essere né ignorata né esorcizzata con gli antichi sistemi della condanna senza appello o delle promesse vuote e ipocrite. Il discorso, pertanto, torna a essere necessariamente  politico, perché politica deve essere la volontà di eliminare gli ostacoli di varia natura che ancora oggi impediscono la piena realizzazione umana e civile dei giovani, lo sviluppo ordinato e graduale della società e che minacciano la nostra fragile ma preziosa e insostituibile democrazia.

 

VINCENZO NICOLO’