IO NON VOGLIO DIMENTICARE

Non si capisce la gravità di una situazione fino a quando non la si vive sulla propria pelle, e così è stato anche per me. Inizialmente il coronavirus sembrava qualcosa di troppo lontano per avere una reale importanza, addirittura sembrava scontato che in Italia non sarebbe mai arrivato: insomma, la Cina rispetto a noi è situata dall’altra parte del mondo, non era certo un problema che ci riguardava, no? Tuttavia, la situazione non è cambiata granché nemmeno quando, al contrario delle aspettative, il coronavirus ha colpito anche l’Italia a partire dal focolaio di Codogno a metà febbraio. Le scuole al Nord furono chiuse, campionati, gite scolastiche ed eventi di vario tipo furono sospesi, e c’era della preoccupazione, questo è vero, ma è altrettanto vero che le iniziali restrizioni suscitavano più fastidio e indignazione che comprensione. Oltretutto, inutile dirlo, a noi ragazzi faceva gola l’idea che chiudessero le scuole, per poter finalmente avere una pausa dallo studio e rilassarci. Il 4 di marzo, infatti, durante la lezione di letteratura, in classe si respirava un clima di fervore perché nei telegiornali girava da qualche giorno la voce che le scuole sarebbero state chiuse in tutta Italia, e non più soltanto al Nord dove, tra l’altro, il virus si stava ampiamente diffondendo. Tra l’altro, si era registrato un caso di contagio anche qui in Sardegna, ma la nostra ingenuità ci ha portato a vedere la sospensione delle attività didattiche come un motivo di festa, non come un provvedimento preso perché la situazione stava diventando davvero critica. Quella sera stessa, durante una pausa dall’allenamento, avevo preso in mano il telefono, scoprendo che le chat di WhatsApp straripavano di messaggi di entusiasmo: le scuole sarebbero rimaste chiuse fino al 15 marzo. Avevamo ottenuto dieci giorni di libertà, ed eravamo felici. L’allegria, tuttavia, non ha avuto lunga vita. Pochi giorni dopo, risultava già chiaro che sospendere le lezioni per soli dieci giorni non sarebbe mai stato sufficiente per arginare l’epidemia, e sono stati i nostri stessi docenti a farci notare che non si sarebbe affatto trattato di vacanze e che avremmo dovuto affrontare la situazione con la massima serietà e consapevolezza, cercando di trovare delle soluzioni per continuare a fare lezione “a distanza”. L’umore generale è cambiato radicalmente in seguito all’emissione degli ultimi decreti, con i quali l’Italia sarebbe stata considerata nella sua totalità “zona rossa”, e l’attuazione di norme restrittive che avrebbero ridotto al minimo gli spostamenti dalla propria casa. A partire dal quel momento, l’entusiasmo e l’eccitazione sono svaniti per lasciare posto ad una nuova consapevolezza: non era una vacanza, non era motivo di festa, non era una situazione di cui gioire. Era una situazione surreale, un qualcosa che da un momento all’altro, senza dare preavviso, avrebbe rovesciato del tutto la nostra quotidianità. Sono passati circa quindici giorni da quanto siamo tutti costretti a stare chiusi in casa, eppure sembra passata un’eternità. Ogni giorno si prova a far fronte al problema principale per noi studenti, quello di non poter fare lezione, sperimentando così la didattica a distanza tramite videoconferenze, classi online e registro elettronico. Si prova a tenersi in contatto con delle telefonate, dei messaggi, a continuare ad avere una vita normale facendo leva sui mass media e i social network. In questo periodo le tecnologie possono esserci utili, ma per me la vita reale è un’altra cosa. Infatti, sorge spontaneo paragonare la vita di ora a quella che conducevamo fino a poco tempo fa. Quante cose avevamo, eppure quanti motivi per lamentarci trovavamo? Ci lamentavamo del traffico nelle strade di città, e ora queste sono completamente vuote. Ci lamentavamo delle ore passate a scuola, per poi accorgerci che stare così tanto tempo davanti al computer è molto più stancante di seguire una lezione in classe. Ci lamentavamo di essere sempre troppo di corsa, e ora siamo tutti rinchiusi in casa senza sapere come far passare il tempo. Ci lamentavamo delle persone, mentre adesso ci accorgiamo di sentirne la mancanza. È vero, un giorno tutto questo finirà, ma la sfida più grande inizierà allora, perché ciò di cui stiamo prendendo consapevolezza ora non deve cadere nell’oblio. Non dovremmo dimenticare che siamo fortunati a ricevere un abbraccio, a studiare, ad avere un lavoro e mille altre opportunità, ma soprattutto non dovremmo dimenticare gli sforzi fatti da coloro che, in prima linea, cercano di far star meglio i contagiati mettendo a repentaglio la loro stessa vita, nonostante ci sia sempre qualcuno che rema controcorrente senza curarsi dell’emergenza, e coloro che purtroppo ci hanno lasciato. Il ricordo di quello che stiamo vivendo al giorno d’oggi dovrà rimanere impresso per sempre, per ricordarci fino alla fine che tutte le cose, soprattutto le più piccole, hanno un valore immenso. Quando capiremo questo, capiremo anche cosa significa davvero vivere.