La paura di chi conosce

Argomento attuale. Che lo si voglia o no è questo che si scrive su ogni giornale, che si discute ogni ora di ogni giorno sulla televisione internazionale. È questo che si trova sulla bocca di tutti. SARS-Cov-2. Così è stato chiamato il virus che sta devastando la popolazione italiana e non solo. Argomento attuale, tutti ne parlano, troppi. Troppa gente che parla senza sapere, troppa gente che sa senza poter parlare. Allora perché scrivere un testo da ignorante? Perché creare una storia attorno a un argomento così importante? Perché essere uno dei tanti ‘opinionisti improvvisati’?

Non trovo risposta a queste domande. Non penso di essere la persona giusta per un argomento così forte e così attualmente problematico. Non mi ritengo la persona adatta a parlare di un qualcosa che non sto vivendo in prima persona e che non conosco dal vivo. In questa creazione letteraria allora ho deciso di non scrivere. Ho deciso di fare un’operazione più importante e più funzionale all’argomento. Ho deciso di dare la voce a chi sta veramente vivendo il problema Coronavirus e a chi sta lottando per salvare vite. Allora in questo elaborato, vesto i panni di uno scrittore che non scrive, non parla, non dà proprie opinioni. Semplicemente mi limiterò a riunire alcune delle tante testimonianze di chi vive ogni giorno per gli altri.

Diamo voce a chi merita di averla.

“Noi e i nostri genitori la guerra non l’abbiamo vista. O meglio non l’avevamo vista ancora. Ho sempre pensato di essere un cavaliere che sfida a duello rusticano la morte. Restituire l’anima a chi l’ha perduta, mi spiegavano da studente fosse il significato di Rianimazione. Macché, fine del film di 30 anni di professione. Fine del delirio di onniscienza e onnipotenza. Il duello non è più rusticano, non è più uno a uno. Il nemico adesso ti accerchia, sembra come in quei film dove per ognuno che fronteggi, dieci ne spuntano da tutte le parti. Puoi solo contenere o abbandonare, e tu, colpito mille volte, non sai neanche perché non muori. Forse per vedere, forse per testimoniare un’umanità che si affanna, che si stringe, che lotta, che sviene, che piange e poi riparte. Forse per vedere la paura di chi curi e quegli occhi che non dimenticherai più, incredibilmente dignitosi come se sapessero che stai facendo il massimo.

Non so quando finirà ma so che finirà.

Quando questo accadrà chi si è ammalato capirà tante cose e chi ha curato sarà un medico o un infermiere migliore. Ma il vero valore sarà ciò che tutto il resto dell’umanità, che per sua fortuna ne è rimasta fuori, dovrà cogliere: il valore della solidarietà, dell’unione, dell’inutilità di moltissime cose e della grandezza di poche.”

Responsabile Anestesia e Rianimazione, Humanitas Gavazzeni, Bergamo.

“Alla fine un turno delirante durante questa emergenza, prima di tornare dai miei figli, con ancora i segni della tuta anti contaminazione e delle mascherine.

Chiusa dentro una stanza per ore senza poter bere o grattarsi semplicemente il naso, per intubare ed assistere un paziente contagiato prima di portarlo in rianimazione in un ambiente surreale. Stanca, nervosa e arrabbiata.  Per cui non mi interessano le vostre c…..e di dove dovete andare. State a casa c…o! State a casa! Perché se non capite cosa succede e che di Coronavirus si muore, capite almeno che i posti in rianimazione finiscono, gli anestesisti sono sempre gli stessi e gli incidenti, gli infarti, gli ictus e tutte le altre problematiche continuano a esistere e noi siamo sempre gli stessi: vulnerabili, stanchi, schiacciati, ma che resistono e continuano a testa bassa finché si può, poi forse si torna a casa. Non siamo eroi, facciamo il nostro mestiere”.

Vivian Perniciaro, anestesista dell’ospedale San Martino di Genova.

“Ciao. Da lunedì sono stata messa in medicina. Inizialmente ero sui letti di quelli considerati “puliti”, senza Covid, da stamane sono invece sui pazienti positivi al Covid con polmoniti gravi e alcuni con vere e proprie crisi respiratorie che si manifestano in maniera repentina e vanno immediatamente ventilati. Sembra di essere un ospedale da campo in guerra. Tra i pazienti anche giovani di 40-50 anni che sono quelli peggiori. Ci sono momenti che mi viene da piangere. Allora  dico “Veni santo spirito…”. Mi sento completamente inadeguata. Ma poi penso che se non ci fossi io, là non ci sarebbe nessun altro. Lui mi vuole li. Non lo so perché. Spero finisca presto, ma da ciò che ho visto non credo sarà possibile. Ti chiedo una preghiera.  Notte.”

“Carissimi, grazie per le vostre preghiere. Dopo il primo attacco “di panico” legato alla gravità dei pazienti e al fatto che mi trovo a fare un lavoro tutto nuovo, in questi due giorni mi sono totalmente affidata a Lui e questo mi ha permesso di lavorare con meno ansia, cercando di seguire al meglio i casi, eseguire i comandi di chi è più esperto di me, rendendomi disponibile in tutto e per tutto. Oggi ne sono morti due. Una alle 6 di stamane e l’altra alle 16 mentre ero li. E’ drammatico perché muoiono da soli, nessun parente può entrare, neanche al Sacerdote è permesso. Volevo stare lì e dire almeno una decina ma ho avuto solo il tempo di dire “Veni Sancte Spiritus” e l’Eterno riposo. Domani lavorerò ancora perché per quanto siano venuti in soccorso anestesisti dell’esercito rimaniamo in pochi. Loro coprono le notti. Alcuni colleghi che potevano essere inseriti nelle turnazioni sono o ricoverati a Pavia/Sacco o sono a casa in quarantena. Continuate a  pregare. Vi abbraccio forte.”

Medico spostato di reparto per l’emergenza.

“Quando il messaggio della pericolosità di ciò che sta accadendo non arriva alle persone e sento ancora chi se ne frega delle raccomandazioni e gente che si raggruppa lamentandosi di non poter andare in palestra o poter fare tornei di calcetto rabbrividisco. Piantiamola di dire che è una brutta influenza. La guerra è letteralmente esplosa e le battaglie sono ininterrotte giorno e notte. I casi si moltiplicano, arriviamo a ritmi di 15-20 ricoveri al giorno tutti per lo stesso motivo. I risultati dei tamponi ora arrivano uno dopo l’altro: positivo, positivo, positivo. Una guerra che molti non erano così certi sarebbe arrivata con tale ferocia. Io stesso guardavo con un po’ di stupore le riorganizzazioni dell’intero ospedale, quando il nostro nemico attuale era ancora nell’ombra: i reparti piano piano letteralmente ‘svuotati’, le attività elettive interrotte, le terapie intensive liberate per creare quanti più posti letto possibili. I container in arrivo davanti al pronto soccorso per creare percorsi diversificati ed evitare eventuali contagi. Cambiamenti che portavano nei corridoi dell’ospedale un’atmosfera di silenzio e vuoto surreale che ancora non comprendevamo, in attesa di una guerra che doveva ancora iniziare e che molti (tra cui me) non erano così certi sarebbe mai arrivata con tale ferocia. Ora però c’è quel bisogno di posti letto in tutta la sua drammaticità. Uno dopo l’altro i reparti che erano stati svuotati, si riempiono a un ritmo impressionante. I tabelloni con i nomi dei malati, di colori diversi a seconda dell’unità operativa di appartenenza, ora sono tutti rossi e al posto dell’intervento chirurgico c’è la diagnosi, che è sempre la stessa maledetta: polmonite interstiziale bilaterale. Le terapie farmacologiche per questo virus sono poche. Il decorso dipende prevalentemente dal nostro organismo. Noi possiamo solo supportarlo quando non ce la fa più. Si spera prevalentemente che il nostro organismo debelli il virus da solo, diciamola tutta. Le terapie antivirali sono sperimentali su questo virus e impariamo giorno dopo giorno il suo comportamento. Stare al domicilio sino a che peggiorano i sintomi non cambia la prognosi della malattia.

 Ci sono i medici pronti a cercare di dare il meglio per i malati, ma esausti. Ho visto la stanchezza su volti che non sapevano cosa fosse nonostante i carichi di lavoro già massacranti che avevano. Ho visto le persone fermarsi ancora oltre gli orari a cui erano soliti fermarsi già, per straordinari che erano ormai abituali. Ho visto una solidarietà di tutti noi. Medici che spostano letti e trasferiscono pazienti, che somministrano terapie al posto degli infermieri. Infermieri con le lacrime agli occhi perché non riusciamo a salvare tutti e i parametri vitali di più malati contemporaneamente rilevano un destino già segnato. Non esistono più turni, orari. La vita sociale per noi è sospesa. Io sono separato da alcuni mesi, e vi assicuro che ho sempre fatto il possibile per vedere costantemente mio figlio anche nelle giornate di smonto notte, senza dormire e rimandando il sonno a quando sono senza di lui, ma è da quasi 2 settimane che volontariamente non vedo né mio figlio né miei familiari per la paura di contagiarli e di contagiare a sua volta una nonna anziana o parenti con altri problemi di salute. Mi accontento di qualche foto di mio figlio che riguardo tra le lacrime e qualche videochiamata. Abbiate pazienza anche voi che non potete andare a teatro, nei musei o in palestra. Cercate di aver pietà per quella miriade di persone anziane che potreste sterminare. Non andate in massa a fare scorte nei supermercati: è la cosa peggiore perché così vi concentrate ed è più alto il rischio di contatti con contagiati che non sanno di esserlo. Ci potete andare come fate di solito. Magari se avete una normale mascherina (anche quelle che si usano per fare certi lavori manuali) mettetevela. Non cercate le ffp2 o le ffp3. Quelle dovrebbero servire a noi e iniziamo a far fatica a reperirle. A causa dello scarseggiare di certi dispositivi, io e tanti altri colleghi siamo sicuramente esposti nonostante tutti i mezzi di protezione che abbiamo. Alcuni di noi si sono già contagiati nonostante i protocolli. Alcuni colleghi contagiati hanno a loro volta familiari contagiati e alcuni dei loro familiari lottano già tra la vita e la morte. Noi non abbiamo alternativa. È il nostro lavoro. Alla fine cerchiamo solo di renderci utili per tutti. Ora cercate di farlo anche voi però: noi con le nostre azioni influenziamo la vita e la morte di qualche decina di persone. Voi con le vostre, molte di più”.

Daniele Macchini, Humanitas Gavazzeni, Bergamo.

Se una persona tra gli 80 e i 95 anni ha una grave insufficienza respiratoria, verosimilmente non procedi. Se ha una insufficienza multi organica di più di tre organi vitali, significa che ha un tasso di mortalità del cento per cento. Ormai è andato. Lo lasciate andare? Questa è una frase terribile. Ma purtroppo è vera. Non siamo in condizione di tentare quelli che si chiamano miracoli. È la realtà. Tanti miei colleghi stanno accusando questa situazione. Non è solo il carico di lavoro, ma quello emotivo che è devastante. Ho visto piangere infermieri con trent’anni di esperienza alle spalle, gente che ha crisi di nervi e all’improvviso trema. Voi non sapete cosa sta succedendo negli ospedali, per questo ho deciso di parlare.”

Dottor Salaroli, anestesista rianimatore a Bergamo.

Le cicatrici sono segno di sofferenza ma anche di guarigione. State a casa gente, state a casa. Fatelo per voi, fatelo per i vostri cari. Fatelo per gli sconosciuti, fatelo per i più deboli. Fatelo per noi. La mia vita e quella dei professionisti che lavorano con me si è catapultata in un mondo parallelo da inizio settimana… ci facciamo forza a vicenda e ci mettiamo un sorriso sotto quelle mascherine che ci lasciano dei solchi che arrivano fino all’anima. Vogliamo aiutare chi ha bisogno di noi, dobbiamo aiutarli, possiamo aiutarli. Aiutateci a farlo dovete solo seguire le raccomandazioni. Ve lo chiediamo per favore”.

Sara Colombo, infermiera in prima linea a Milano, mostrando i segni sul suo volto lasciati dalla mascherina.

Mi sono reso conto che ho preso un po’ “sottogamba” questa questione del coronavirus per giorni, e adesso non è più possibile farlo.

Io lavoro in ospedale e la situazione è REALMENTE al collasso totale, stanno creando posti letto ovunque perché i pazienti che hanno bisogno di essere intubati sono veramente TANTI, gli infermieri e i medici si stanno ammazzando ai turni e anche le nostre condizioni da oggi sono ancora più restrittive.

Le conseguenze sono pesanti sia per ognuno di noi (nessuno che sta bene rischia di morire con il COVID, ma è ovvio che se non ci sono mezzi e risorse per essere intubati o per fare una C-PAP le conseguenze potrebbero essere più gravi) che per il sistema sanitario (una mia amica infermiera che lavora al piano sopra di me vede ogni giorno scelte tra chi vive e chi muore, e in generale tanti amici medici ti scrivono dicendo “non hai idea della situazione…”).

Volevo scrivervi perché spesso ho sentito dire in questi giorni “eh, ognuno ha la sua sensibilità di fronte a questo problema…”…ecco, no.

Non c’entra un c…o la sensibilità qui, e se uno non lavora nel campo medico ancora meno.

C’entra il fatto che bisogna ubbidire alle indicazioni che ci vengono date di non uscire se non per una passeggiata o per motivi essenziali cercando di evitare i luoghi affollati, ma ubbidire DAVVERO, che ci vada bene o meno, senza interpretazioni, per cercare di arginare la cosa insieme, dando una mano a chi lavora in ospedale, facendo anche dei sacrifici dovuti all’isolamento, senza affannarsi perché la vita continui come se niente fosse successo, altrimenti il problema diventerà ancora più pesante e drammatico.

Da un po’ abbiamo iniziato a dire il rosario tutte le sere con mia moglie perché il buon Dio ci aiuti a dire il nostro piccolo sì, che passa anche attraverso questa situazione e l’ubbidienza a questa circostanza, in modo semplice e senza far finta che la cosa tocchi tutti “tranne me”.”
Amico medico via Whatsapp.

Queste sono le testimonianze di tutte quelle persone che stanno lottando sul campo contro il coronavirus. Penso non ci sia bisogno di aggiungere altro a queste parole che dicono già molto, forse troppo. È facile diffondere storie felici, storie con lieti fini e con trame piene di belle sorprese. Più difficile è invece diffondere messaggi e storie piene di tristezza, perché la gente purtroppo pensa di aver subito fin troppe ferite e fin troppe delusioni dalla vita. Diffondere storie difficili allora diventa il vero compito di chi scrive, aprire gli occhi a gente piena di possibilità per essere felice, ma troppo concentrata su ciò che invece la rende triste. Se solo invece queste persone imparassero a vedere la vera tristezza nella vita di chi gli sta attorno e di chi vive veramente situazioni difficili, allora forse si renderebbero conto di quanto sono fortunate.

Si pensa troppo a se stessi. Si è troppo ciechi per alzare lo sguardo e vedere ciò che ci sta attorno; forse perché abbiamo paura. Paura che ciò che ci circonda sia troppo brutto, o al contrario… forse la vera paura è che sia troppo bello.

In questo momento difficile mi appello a tutte le testimonianze raccontate precedentemente e mi faccio a mia volta portavoce di un importante messaggio che a quanto pare è importante ripetere più e più volte: STATE A CASA

Classe 3B