Scopi terapeutici della marijuana

La marijuana è usata per contrastare la diminuzione dell’appetito nei pazienti affetti da AIDS e da cancro e per diminuire la nausea derivata dai trattamenti chemioterapici e dalle irradiazioni. Inoltre causa un effetto positivo sui soggetti affetti da dolori cronici, da sclerosi multipla (diminuzione del rigore muscolare) e sulla sindrome di Tourette. Utilizzata in medicina da migliaia di anni e presente nella farmacopea ufficiale fino alla metà del Novecento, a oggi, come accade per la maggioranza delle molecole attive presenti sul mercato, sono ancora in corso studi che accertino la validità di questi effetti. Nonostante la autorizzazione al commercio in diversi paesi di farmaci contenenti cannabinoidi, tra cui anche THC (es. Sativex) e varianti sintetiche, la maggioranza dei movimenti pro-legalizzazione semplicemente ignora l’esistenza di tali farmaci, nonché l’esistenza di rilevanti effetti collaterali, per chiedere l’autoprescrizione.

Le applicazioni possibili accertate e le conseguenti sperimentazioni hanno per oggetto:

Inappetenza da farmaci chemioterapici. Efficacia provata dalla pratica medica di routine; centinaia di migliaia di dosi di THC sintetico (Marinol) sono state prescritte ogni anno dagli oncologi USA anche se non sembra avere gli stessi effetti della marijuana assunta nel suo stato naturale (fumato o ingerito) poiché il Δ9-tetraidrocannabinolo è solo uno dei 460 composti naturali presenti nella cannabis.
Epilessia. In sostituzione di farmaci anticonvulsivi, che hanno gravi effetti secondari anche sull’umore. Efficacia provata in qualche caso.
Disturbi psichici . In particolare, studi hanno evidenziato un miglioramento nel disturbo bipolare nella depressione e nel disturbo post traumatico da stress. Alcuni studi sperimentali indicano anche un’efficacia nel disturbo ossessivo-compulsivo e in vari disturbi d’ansia.
Sclerosi multipla. In sostituzione di farmaci tranquillanti ad alte dosi, con rischi di letargia e dipendenza fisica. Efficacia sperimentata in molti casi. Non è comunque il farmaco di elezione per gli spasmi; solo in pochi casi si è evidenziato un miglioramento secondo la scala di AshWorth.
Anoressia. Forte stimolante dell’appetito.
Glaucoma. La marijuana diminuisce la pressione interna dell’occhio del 25-30% in media, a volte fino al 50%. Alcuni cannabinoidi non psicotropi, e in misura minore, anche alcuni costituenti non-cannabinoidi della canapa diminuiscono la pressione endo-oculare.
Asma. La marijuana ha capacità broncodilatatorie, per evitare il danno da fumo, si utilizzano particolarmente in questi casi i vaporizzatori.
Staphylococcus aureus. I principi attivi utilizzati sono risultati efficaci anche contro ceppi resistenti alla meticillina.
Neoplasia. Donald Tashkin, della University of California, ha recentemente svolto una ricerca che dimostrerebbe la minore incidenza di cancro ai polmoni in soggetti che assumono abitualmente cannabis rispetto a quella riscontrata in soggetti non fumatori. Robert Malamede, dell’Università di Colorado Springs, sostiene che la marijuana, già impiegata come antiemetico, sarebbe persino in grado di uccidere le cellule cancerogene. Ad ogni modo le posizioni non sono convergenti.
Malattia di Alzheimer. Usato per prevenire i sintomi e rallentare la progressione.
Malattia di Parkinson. Utile per alleviare i sintomi.
Malattia di Huntington. Il principio attivo è risultato utile per alleviare i sintomi e rallentare la progressione neurodegenerativa.
Sindrome di Tourette. Utile nel contrasto dei tic nervosi e neurologici della sindrome, secondo alcuni studi.
Sclerosi laterale amiotrofica. Utilizzato come palliativo per i sintomi.
Nei Paesi Bassi, in Spagna, in Canada e in sedici stati degli Stati Uniti l’uso della cannabis a scopo medico è già consentito, in altri paesi europei ed extraeuropei l’argomento è al centro di accesi dibattiti sia sul piano scientifico sia su quello etico. Principale studioso e promotore dell’uso terapeutico della cannabis e della sua decriminalizzazione è il professor Lester Grinspoon, psichiatra e professore emerito dell’Università di Harvard. In Italia, approfonditi studi in materia sono stati effettuati dal neuropsichiatra prof. Gian Luigi Gessa e dal dott. Giancarlo Arnao.

Angelo Cavalieri