“Dagli all’untore!”: dalla peste al coronavirus

“Un virus non è solo un agente biologico che si riproduce nelle cellule vive di un organismo, ma è anche parte di un’ideologia che considera “l’altro” come una malattia”. (S. Horvat, Il pericolo politico del nuovo virusInternazionale del 6 marzo 2020).

Queste considerazioni sulle implicazioni sociali del diffondersi di una malattia sono state oggetto di molte opere letterarie italiane. Un autore che ha approfondito la questione è Alessandro Manzoni. Pur non avendo vissuto la peste aveva studiato approfonditamente documenti dell’epoca e ne parlò in due capitoli de I Promessi Sposi e nel testo Storia della Colonna Infame. In quest’ultimo in particolare ricostruisce il processo che nel 1630 mandò a morte 5 uomini innocenti, accusati, secondo la credenza popolare di allora, di essere veicolo di contagio della peste: “untori”.

Untori si riferisce alla superstizione secondo cui un virus si potesse diffondere attraverso le “unzioni”, cioè lo spargimento di liquido infetto sulle porte di casa e sui muri di una città.  La leggenda degli untori – responsabili consapevoli della diffusione del male – è il frutto e la sintesi di un insieme di fattori che vanno dall’ignoranza alla paura, dal bisogno di trovare un capro espiatorio al timore del diverso da sé; a farne le spese, la storia ci insegna, sono proprio coloro che sono socialmente esclusi, ai bordi della comunità: gli stranieri, gli emarginati, i diversi (per religione, ceto sociale, comportamento).

Nel nostro contemporaneo le condizioni igienico-sanitarie sono estremamente diverse da quelle descritte dal Manzoni, eppure, nonostante i quattro secoli che ci separano dagli eventi da lui trattati, la responsabilità delle autorità nel costruire una narrazione unica e dominante appare sorprendentemente simile allora come oggi: un discorso pubblico univoco, senza sfumature, che non ammette repliche o opinioni diverse. Nell’affrontare gli argomenti legati alla diffusione del Covid-19 il linguaggio usato dalle autorità e dai media, di derivazione bellica (siamo in guerra, in prima linea, dobbiamo combattere il male comune…) ha incoraggiato la ricerca di responsabilità ultime, di vittime e carnefici. I primi untori sono stati identificati, all’inizio della diffusione del virus, in tutte le persone dai tratti orientali, con episodi di razzismo o semplicemente di diffidenza.

Ora che il virus in Italia e nel mondo ha assunto dimensioni di “pandemia” (dal greco pan demos – tutto il popolo), “l’untore” non è più il cinese, ma colui che esce di casa, colui che non porta la mascherina, il padre che passeggia con suo figlio. E l’aspetto più pericoloso è questa distruzione del vivere civile, il vicino che odia il vicino, il mondo che sembra impazzire, proprio come è stato descritto dal Manzoni e ancora prima da Boccaccio nel Decameron: “Era con siffatto spavento questa tribulazione entrate ne’ petti degli uomini e delle donne, che l’un fratello l’altro abbandonava e il zio il nipote e la sorella il fratello…”

Manzoni nel capitolo XXXIV racconta a tal proposito un episodio molto significativo: Renzo, arrivato a Milano, si avvicina ad un passante per chiedergli un’informazione “Ma questo, stralunando gli occhi affatto, fece un passo addietro, alzò un noderoso bastone e voltata la punta che era di ferro, alla vita di Renzo, gridò:- via! via! via!”.

Così come in questi giorni basta un contatto visivo, al supermercato o in un negozio, per suscitare esagerate reazioni di paura verso il prossimo. Costretti a casa ci rendiamo conto di quanto ci manchino i rapporti umani non digitali. Prima delle restrizioni le nostre relazioni passavano quasi esclusivamente attraverso i mezzi digitali, ora che ne siamo completamente immersi, ci rendiamo conto di quanto fossero importanti le relazioni umane basate sul contatto e sulla presenza; come scrive Baricco “tutto questo ci sta insegnando che più lasceremo srotolare la civiltà digitale più assumerà valore, bellezza, importanza […] tutto ciò che ci manterrà umani: corpi, voci naturali, sporcizie fisiche, imperfezioni, abilità delle mani, contatti, fatiche, vicinanze, carezze, temperature, risate e lacrime vere, parole non scritte…”

Manzoni risponde con la fede e la cultura, che non evitano i guai, diceva, ma insegnano come affrontarli: “Si potrebbe però, tanto nelle cose piccole, come nelle grandi, evitare, in gran parte, quel corso così lungo e così storto, prendendo il metodo proposto da tanto tempo, d’osservare, ascoltare, paragonare, pensare, prima di parlare” I Promessi Sposi, cap. XXXI

Bosco Ettore 4AL