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“Il futuro sarà vero, solo se ciascuno di noi avrà la capacità di vivere il mondo che ha dentro”

Questa tiepida e dolce primavera, con le sue giornate inutilmente stupende, non attenua il dolore e l’angoscia di questa tragedia.

Sono giorni di sofferenza, di lutto e di timore, viviamo tutti chiusi in casa, barricati nei nostri agi, e soffocati dall’ansia di ricevere cattive notizie.

Come in un film di fantascienza il mondo occidentale, il nostro mondo, si è sgretolato in un attimo, sono crollate  tutte le certezze dell’era del benessere infinito, della salita inarrestabile degli indici economici, delle vacanze perenni, delle grandi navi da crociera e del consumo vorace di tutto, dai social media ai selfie davanti alle opere d’arte.

Un microscopico virus ha posto fine alla baldoria di questo secolo.

Eppure, ci consola la speranza, spesso invocata in questi giorni, che tutto andrà bene; che quando terminerà la quarantena torneremo ad abbracciarci; ed allora, il comune sentire è di resistere ancora per qualche settimana, poi tutto sarà come prima.

Ma intanto, siamo sicuri che dopo questa catastrofe, di dimensioni planetarie, che sta distruggendo, insieme a migliaia di esistenze, un intero sistema di organizzazione sociale, il mondo sarà quello di prima?

È innegabile, infatti, che ci sarà un lungo periodo di incertezza e di sofferenza ed insieme, un profonda crisi economica che modificherà l’intero mondo produttivo, portando con sé un capovolgimento dei cardini degli attuali sistemi politici.  

D’altronde, nulla potrà essere come prima, sia perché siamo cambiati noi, e sia perché in ciascuno di noi è cambiata la concezione del mondo e della vita.

Sono, infatti, bastate poche settimane di lutto, di dolore di paura a metterci tutti di fronte alla dura realtà dell’esistenza, quella cioè di una condizione umana caratterizzata da una labile fragilità.

Il timore della malattia e della morte si è insinuato in tutti i rapporti sociali, che oggi, vacillano fortemente.

Chi avrebbe mai potuto immaginare, che la società evoluta del XXI secolo, sarebbe stata sconvolta da una epidemia, considerata come qualcosa che appartenesse ad un passato molto lontano?

Intanto, è successo, e siamo in tanti ad auspicare un ritorno allo status quo ante, pur se è forte un interrogativo: Abbiamo davvero la convinzione di voler tornare indietro?

In quel mondo in cui la televisione ci ha mostrato, come emblema di un epoca in cui ha prevalso la più stupida idiozia, programmi in cui sono stati protagonisti del nulla personaggi incapaci a far niente, analfabeti patentati di ogni specie; dove hanno furoreggiato per anni giovanissime oche starnazzanti vestite a festa.

Vi è stata l’effimera illusione che tutto fosse dovuto e che la rincorsa al benessere rappresentasse un diritto universalmente riconosciuto, tanto c’era comunque qualcuno a garantirlo, la famiglia o lo Stato assistenzialista.

Purtroppo, questo tempo, ci ha insegnato che la vita è dura, è difficile, tutto costa fatica e sacrificio, i risultati si raggiungono con il sudore della fronte, le difficoltà si affrontano a viso aperto, senza mai tirarsi indietro, e non aspettando che sia qualcuno a migliorare la nostra condizione.  

Magari, questa nuova consapevolezza potrà esserci di aiuto, permettendoci di costruire un futuro diverso, basato su solide basi e non sul nulla cosmico.

E proprio, Don Antonio Mazzi, nelle sue ultime riflessioni, ha così puntualizzato:

Ieri eravamo mezzi uomini e mezze macchine produttive, dotate di tecnologie, sempre più raffinate, ma con l’unico scopo di produrre. Il domani sarà vero se da macchine torneremo creature, figli del mondo, col sorriso, con la parola sempre appena nata dentro, contenti del necessario per vivere, ma soprattutto vogliosi di stare insieme. Insieme, come voce del verbo esistere. Questo virus può essere interpretato così? E la nostra storia può tornare semplice, autentica?

Dunque, ha continuato:  “il futuro sarà vero, solo se ciascuno di noi avrà la capacità di vivere il mondo che ha dentro. Perciò le mani serviranno per lavorare e per accarezzare.., perché siamo uomini. Gli occhi serviranno per leggere come per fermarsi davanti a un povero che soffre.”

Ha poi concluso con alcuni versi di Rossana Murray, scrittrice brasiliana: «Qui seduta, in questo inizio di secolo…tutto si sgretola: il cielo dove prima ardevano sogni, non è altro che un immenso vuoto dove i morti cercano le loro voci. Chissà se in qualche ampolla si trovi ancora un frammento di stella e il panico si plachi».

Forse, il panico si placherà quando riscopriremo la nostra autentica umanità; riapriremo le porte di casa e torneremo a vivere una vita normale, riuscendo a portare tra la gente la realtà che avevamo perso, i valori che avevamo dimenticato.

Io credo che, alla fine, il Covid-19 sarà sconfitto, ma prima di parlare d’altro, sarà essenziale per la nostra dignità morale e salvezza spirituale piangere e ricordare i nostri tanti morti.

Soltanto così, anteponendo il valore della vita umana ad ogni altra logica, quella del potere e del profitto ad ogni costo, potremo evitare di riprendere, appena si ricomincerà a vivere, quella corsa sfrenata verso il benessere e l’egoismo individuale, evitando di celebrare, di nuovo, l’ascesa degli indici di borsa e con essa la grandezza delle lobby economico-finanziarie, diversamente si getteranno le basi di un’altra epidemia, e la prossima volta non è detto che sia l’ultima.

Questa tiepida e dolce primavera, con le sue giornate inutilmente stupende, non attenua il dolore e l’angoscia di queste tragedia.

Sono giorni di sofferenza, di lutto e di timore, viviamo tutti chiusi in casa, barricati nei nostri agi, e soffocati dall’ansia di ricevere cattive notizie.

Come in un film di fantascienza il mondo occidentale, il nostro mondo, si è sgretolato in un attimo, sono crollate  tutte le certezze dell’era del benessere infinito, della salita inarrestabile degli indici economici, delle vacanze perenni, delle grandi navi da crociera e del consumo vorace di tutto, dai social media ai selfie davanti alle opere d’arte.

Un microscopico virus ha posto fine alla baldoria di questo secolo.

Eppure, ci consola la speranza, spesso invocata in questi giorni, che tutto andrà bene; che quando terminerà la quarantena torneremo ad abbracciarci; ed allora, il comune sentire è di resistere ancora per qualche settimana, poi tutto sarà come prima.

Ma intanto, siamo sicuri che dopo questa catastrofe, di dimensioni planetarie, che sta distruggendo, insieme a migliaia di esistenze, un intero sistema di organizzazione sociale, il mondo sarà quello di prima?

E’ innegabile, infatti, che ci sarà un lungo periodo di incertezza e di sofferenza ed insieme, un profonda crisi economica che modificherà l’intero mondo produttivo, portando con sé un capovolgimento dei cardini degli attuali sistemi politici.  

D’altronde, nulla potrà essere come prima, sia perché siamo cambiati noi, e sia perché in ciascuno di noi è cambiata la concezione del mondo e della vita.

Sono, infatti, bastate poche settimane di lutto, di dolore di paura a metterci tutti di fronte alla dura realtà dell’esistenza, quella cioè di una condizione umana caratterizzata da una labile fragilità.

Il timore della malattia e della morte si è insinuato in tutti i rapporti sociali, che oggi, vacillano fortemente.

Chi avrebbe mai potuto immaginare, che la società evoluta del XXI secolo, sarebbe stata sconvolta da una epidemia, considerata come qualcosa che appartenesse ad un passato molto lontano?

Intanto, è successo, e siamo in tanti ad auspicare un ritorno allo status quo ante, pur se è forte un interrogativo: Abbiamo davvero la convinzione di voler tornare indietro?

In quel mondo in cui la televisione ci ha mostrato, come emblema di un epoca in cui ha prevalso la più stupida idiozia, programmi in cui sono stati protagonisti del nulla personaggi incapaci a far niente, analfabeti patentati di ogni specie; dove hanno furoreggiato per anni giovanissime oche starnazzanti vestite a festa.

Vi è stata l’effimera illusione che tutto fosse dovuto e che la rincorsa al benessere  rappresentasse un diritto universalmente riconosciuto, tanto c’era comunque qualcuno a garantirlo, la famiglia sponsor o lo Stato assistenzialista dell’ozio.

Purtroppo, questo tempo, ci ha insegnato che la vita è dura, è difficile, tutto costa fatica e sacrificio, i risultati si raggiungono con il sudore della fronte, le difficoltà si affrontano a viso aperto, senza mai tirarsi indietro, e non aspettando che sia qualcuno a migliorare la nostra condizione.  

Magari, questa nuova consapevolezza potrà esserci di aiuto, permettendoci di costruire un futuro diverso, basato su solide basi e non sul nulla cosmico.

E proprio, Don Antonio Mazzi, nelle sue ultime riflessioni, ha così puntualizzato:

Ieri eravamo mezzi uomini e mezze macchine produttive, dotate di tecnologie, sempre più raffinate, ma con l’unico scopo di produrre. Il domani sarà vero se da macchine torneremo creature, figli del mondo, col sorriso, con la parola sempre appena nata dentro, contenti del necessario per vivere, ma soprattutto vogliosi di stare insieme. Insieme, come voce del verbo esistere. Questo virus può essere interpretato così? E la nostra storia può tornare semplice, autentica?

Dunque, ha continuato:  “il futuro sarà vero, solo se ciascuno di noi avrà la capacità di vivere il mondo che ha dentro. Perciò le mani serviranno per lavorare e per accarezzare.., perché siamo uomini. Gli occhi serviranno per leggere come per fermarsi davanti a un povero che soffre.”

Ha poi concluso con alcuni versi di Rossana Murray, scrittrice brasiliana: «Qui seduta, in questo inizio di secolo…tutto si sgretola: il cielo dove prima ardevano sogni, non è altro che un immenso vuoto dove i morti cercano le loro voci. Chissà se in qualche ampolla si trovi ancora un frammento di stella e il panico si plachi».

Forse, il panico si placherà quando riscopriremo la nostra autentica umanità; riapriremo le porte di casa e torneremo a vivere una vita normale, riuscendo a portare tra la gente la realtà che avevamo perso, i valori che avevamo dimenticato.

Io credo che, alla fine, il Covid-19 sarà sconfitto, ma prima di parlare d’altro, sarà essenziale per la nostra dignità morale e salvezza spirituale piangere e ricordare i nostri tanti morti.

Soltanto così, anteponendo il valore della vita umana ad ogni altra logica, quella del potere e del profitto ad ogni costo, potremo evitare di riprendere, appena si ricomincerà a vivere, quella corsa sfrenata verso il benessere e l’egoismo individuale, evitando di celebrare, di nuovo, l’ascesa degli indici di borsa e con essa la grandezza delle lobby economico-finanziarie, diversamente si getteranno le basi di un’altra epidemia, e la prossima volta non è detto che sia l’ultima.

 

Candida Izzi

 

Candida Izzi