Intervista a mia nonna

Intervista a Raffaella Tedesco, nata il 15 agosto del 1928

 

Puoi parlarmi del coprifuoco durante la seconda guerra mondiale?

Certo, non scorderò mai quel periodo: era il 1942 credo, avevo solo 14 anni e lo vissi con il terrore e la paura. Il coprifuoco partiva alle 21:00 e terminava alle 6 di mattina, era il momento della giornata che più temevo. Mi svegliavo e sapevo di dover vivere un’altra notte nel terrore, ma era una lotta contro il tempo e contro me stessa, volevo solo non avere più paura.
Ricordo che eravamo costretti a barricarci in casa, non potevamo neanche accendere la luce e per chi doveva lavorare gli era concesso solo tenere la piccola luce di una candela, ma dovevamo comunque assicurarci che non filtrasse all’ esterno. Ci era permesso solo tenere le finestre aperte in estate per far entrare un po’ di fresco

 

In quelle situazioni avevi paura?

La paura ci divorava dall’interno a tutti noi, sapevamo che se non avessimo seguito gli ordini avremmo fatto tutti una brutta fine. Più di una volta mi è capitato di sentire le urla di uomini presi dai soldati e a volte non sapevamo neanche che fine avrebbero fatto. Sapevamo solo che se ti trovavano fuori casa durante il coprifuoco nel migliore de casi venivi arrestato, alcuni li deportavano e altri addirittura venivano fucilati. Ricordo anche come i tedeschi si divertivano a dare fuoco ai carretti che i lavoratori pur di rispettare l’orario non facevano in tempo a portarli in casa; ricordo benissimo i volti degli uomini la mattina seguente mentre guardavano i frutti del loro duro lavoro ridotti in cumuli di cenere.

 

C’è qualche episodio in particolare che hai vissuto con più ansia?

Assolutamente si , mio fratello maggiore, il primogenito, era molto innamorato di una ragazza che abitava in fondo alla via, a volte la sera non riusciva a tornare, diceva che quando era con lei si dimenticava di vedere l’ orologio, così si toglieva le scarpe e aspettava che calasse il buio totale per strisciare lungo i muri fino ad arrivare al nostro portone. Ci faceva stare tutti con il cuore in gola, mia madre riusciva a respirare solo quando mio fratello entrava in casa e chiudeva la porta alle sue spalle, e mi dimostrava così che in lui l’amore era più forte della paura. Non fu mai preso e riuscì a sposare anche la ragazza in fondo alla via.

 

Come vivevate quest’obbligo di rimanere chiusi in casa?

La sera, quando tutti eravamo intorno al tavolo, mi sentivo bene. Per fortuna il cibo non mancava, grazie alla generosità del mugnaio che ci dava sempre la farina, solo perché mio padre lo aveva aiutato a costruire il suo mulino. Per questo ci ritenevamo molto fortunati, perché la farina all’ epoca era un lusso che non tutti potevano permettersi. Ad oggi pensare che condividevamo la nostra farina con i topi è a dir poco raccapricciante, ma non ostante tutto siamo riusciti a superare quel periodo buio della nostra vita.

 

E come lo vedi questo ‘copri fuoco’ dovuto al covid 19?

Sono triste e spaventata, molto più che all’ epoca perchè oggi sono sola. Ho 92 anni e se mi ammalassi ho paura di non riuscire ad avere neanche la forza per gridare aiuto. Questo è un nemico infido e invisibile che ci fa sentire impotenti e vulnerabili.

 

Canofari, 3D