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Due chiacchiere con un’italiana in Texas durante l’inizio della pandemia

Di Camilla Dini

Ho contattato una studentessa appena rientrata da un’esperienza di scambio all’estero a Houston, negli Stati Uniti la quale non si è conclusa a causa dell’emergenza sanitaria mondiale. L’interessata ci ha raccontato come ha passato le ultime settimane.

Come si sarebbe dovuta svolgere la tua esperienza all’estero in condizioni normali?
Sono partita verso Houston a fine luglio. Sarei dovuta rimanere in Texas insieme alla mia famiglia ospitante per 10 mesi. Frequentavo l’ultimo anno delle scuole superiori e mi sarei diplomata a
breve.
Quando hai capito che qualcosa stava per cambiare il corso della tua esperienza?
In verità mi sono impaurita da subito, già da quando a Gennaio si cominciò a parlare di quest’epidemia in Cina. Quando mi è arrivata la notizia dei due turisti cinesi ricoverati allo
Spallanzani di Roma, la mia città natale, ho pensato davvero che la situazione sarebbe precipitata in tutto il mondo. Le persone che mi erano vicine in America invece non si erano minimamente
interessate o allarmate, dato che il presidente Trump per primo negava la pericolosità della diffusione del COVID-19.
Quando c’è stato il primo segno di allarme nella tua città?
Nonostante già da qualche settimana fosse abbastanza alto il numero dei contagiati a Houston, il primo segno di allarme si è visto solo verso il 14 marzo, quando si è annunciata la chiusura delle
scuole in tutti gli Stati Uniti. La quarantena obbligatoria era stata però imposta solo in 4 stati su 50 e il Texas non faceva parte di questi. Tutte le persone che ho conosciuto continuavano ad uscire
ogni volta che ne avevano voglia, senza indossare le mascherine e senza mantenere la distanza di sicurezza. Ormai sono tornata in Italia da 5 giorni e sentendomi con le mie amiche di lì mi sembra
di capire che non sia ancora cambiato nulla.
Hai avuto problemi nell’organizzazione del viaggio di ritorno per l’Italia?
Il mio viaggio di ritorno doveva essere organizzato dalla stessa agenzia che organizzava il mio scambio. Dal 16 marzo ho cominciato ad essere insistente con gli organizzatori per farmi tornare il
prima possibile dalla mia famiglia in Italia. La mia agenzia era una delle poche che non riteneva necessario il ritorno in patria degli studenti, quindi se io fossi partita comunque subito, avrei
dovuto pagare il biglietto di un nuovo volo , una penale per l’agenzia e inoltre l’agenzia non mi avrebbe aiutata in caso di cancellazione del volo. Giovedì 26 c’è stato finalmente detto che
dovevamo tornare a casa e che ci avrebbero comunicato a breve informazioni sui voli. La notte del 30 aprile mi è arrivata una mail da “United Airlines” che mi comunicava che avrei avuto il primo
volo di ritorno a distanza di 11 ore.
Raccontami del viaggio di ritorno

Houston a New York, nell’aereo non sono state rispettate le misure di sicurezza e quasi nessuno indossava mascherine. Una volta arrivata a New York mi sono sorpresa dalla presenza di così tante
persone in aeroporto, delle quali solo una piccola minoranza provvista di mascherina. In quel momento la città era già il più grande focolaio americano e contava 74000 contagiati. Durante il
secondo volo, che andava da New York a Francoforte, le misure anti-coronavirus sono state attuate maggiormente. Dopo sono rimasta 4 ore nell’aeroporto di Francoforte che era
praticamente deserto. Il mio volo per l’Italia non è stato cancellato nonostante molti di quelli dei miei amici exchange students lo sono stati. Nell’ultimo aereo le misure di sicurezza sono state
applicate nel modo corretto.
Ora che sei tornata a casa, quali sono le misure che stai seguendo?
Ora sono in quarantena obbligatoria. Evito di avere contatto ravvicinato con i membri della mia famiglia e continuerò in questo modo per almeno altri 10 giorni. Al momento non ho presentato
alcun sintomo.
Se potessi tornare indietro, partiresti comunque per quest’esperienza?
Credo che ripartirei. E’ stata un’esperienza importante nonostante sia durate 8 mesi invece di 10. Il mio principale obiettivo era quello di imparare l’inglese al meglio che potevo e credo di averlo
raggiunto, inoltre penso che solo partendo durante il quarto anno di scuole superiori si possa fare un’esperienza unica nel suo genere. L’unica cosa che cambierei è la scelta dell’agenzia che mi ha
deluso moltissimo nel momento in cui avevo bisogno aiuto.