Intervista sul femminismo: cosa ne pensa un’adolescente

Da sempre, la donna è considerata inferiore all’uomo, sia in ambito lavorativo che sociale. Nel 17º secolo iniziò una prima fase delle rivendicazioni femminili, lotte di donne che sostenevano l’uguaglianza dei due sessi che ancora tutt’oggi esistono. Da qui nasce il femminismo, un movimento per rivendicare i diritti delle donne. A parlarne è Ludovica Spina, 17 anni, studentessa presso il liceo E. Boggiolera

 Che significato ha per te il femminismo?
“Per avere una definizione valida e completa di femminismo è importante analizzare i due piani su cui esso si basa: quello filosofico-ideologico e quello politico.
Il primo punto comprende una serie di riflessioni teoriche proprie e argomentazioni ideologiche che mettono al centro la figura della donna e il peso di essa nel rapporto tra i due sessi. In questo caso si parla del femminismo come di un’ ideologia con una sua differenziazione interna (infatti esistono diverse versioni filosofico-ideologiche di femminismo). L’altro piano è quello politico sul quale si collocano tutte le espressioni che fanno del femminismo un’azione diretta con uno scopo preciso: l’uguaglianza.
Secondo la mia opinione, il femminismo è unione di tutte quelle persone che hanno deciso di schierarsi dalla parte di chi riceve un’ ingiustizia inflitta dalla mentalità sessista della società. Le femministe si ribellano all’idea che esistano ruoli prestabiliti e immutabili dettati dagli ideali patriarcali dei quali la nostra società è intrinseca. Oltre alla questione dei diritti, si tratta di combattere per cambiare un immaginario che stabilisce un ideale di donna e di uomo, e che violenta e marginalizza chiunque non corrisponda a questo ideale (per esempio la comunità lgbt o anche donne ambiziose e indipendenti) L’idea femminista è quella di permettere ad ognuno di avere il diritto essere sé stesso”.

Le femministe lottano da anni per il riconoscimento di importanti diritti secondo te, qual’ è stato il più importante traguardo raggiunto?
“Miriam Mafai scriveva nel 2004 che l’Italia si riscopriva laica: “ In tutte le città italiane, da Milano a Palermo, da Firenze a Roma una folla immensa, quella notte è [il riferimento è alla notte dei festeggiamenti dopo i risultati del referendum] si riversò per le strade, a festeggiare la vittoria. In maggioranza erano donne. Il nuovo movimento femminista, nato al di fuori se non contro i partiti e le organizzazioni femminili tradizionali, celebrava così la sua prima vittoria. Finiva quel giorno, con quel voto, il secolare predominio della Chiesa sui sentimenti e sul corpo delle donne”.
È stata una grande rivoluzione culturale, in quanto scindendo la Chiesa dallo Stato si è messo fine al predominio religioso della Chiesa ( generalmente di carattere maschilista) sulle donne, iniziando così una serie di conquiste sui diritti personali delle donne. (Come l’aborto, il divorzio e l’abrogazione della legge sull’adulterio)”.

Secondo te l’influenza dei social su gli adolescenti può aiutare a diffondere una corretta idea di femminismo?
“I social possono essere una fonte meravigliosa come possono non esserlo. Tutto sta nel condividere contenuti adatti a sensibilizzare la società (soprattutto i giovani) agli ideali di uguaglianza e rispetto. Ci sono diversi utenti online che condividono messaggi giusti, volti a sensibilizzare le persone al rispetto reciproco, alla libertà e alla parità. Ma, purtroppo, altrettanti utenti condividono l’esatto opposto, mercificando completamente i corpi femminili, i quali non solo sono rivolti al puro piacere maschile, ma devono anche rispettare dei canoni standard per piacere ed essere accettati. Altri condividono messaggi sbagliati di disuguaglianza tra i sessi e criticano aspramente chiunque osi condannare i loro ideali maschilisti. Molti, purtroppo, snaturano completamente il significato della parola “femminista” utilizzandola come dispregiativo nei confronti di chi pretende rispetto. Sostanzialmente, i social potrebbero essere un ottimo modo per sensibilizzare la società, ma spesso ciò non avviene”.

Cosa manca nell’educazione delle persone soprattutto degli uomini per finire questa discriminazione di genere?
“Il problema, al giorno d’oggi, sono gli ideali patriarcali che ci accompagnano da millenni. Già in famiglia si insegnano alle figlie e ai figli “regole” di base su come essere donna e come essere uomo. In pratica, l’educazione maschilista e patriarcale viene impartita sin dalla tenera età nel nucleo familiare stesso in cui si vive. Se si iniziasse sin da subito a impartire un’educazione che porti all’uguaglianza, senza ruoli prestabiliti in base al sesso, magari si imparerebbe che non ci sono regole o leggi prestabilite su come si debba essere donne in base alle esigenze maschili ma, bensì, su come essere donna in base alle proprie specifiche volontà ed esigenze. Stabilendo la figura della donna come figura pensante e indipendente”.

Dopo tutti questi anni, pensi che le donne siano ancora lontane dal superare questa disparità di genere?
“Ancora oggi, la discriminazione nei confronti delle figlie femmine inizia ancor prima della nascita. In molte società la donna viene discriminata già in famiglia, spesso anche per legge: in Arabia Saudita una donna non può viaggiare all’estero senza il permesso scritto di un parente uomo. In Somalia, spesso, le donne con disabilità sono soggette a matrimoni forzati o sono vittime di violenza domestica. La violenza di genere colpisce in particolar modo le donne, le persone transgender e quelle non conformi alle categorie di genere ma questa resta una crisi dei diritti umani che il mondo politico continua a ignorare. In tutto il mondo, le donne non sono solo pagate in media meno dei loro colleghi maschi ma hanno anche una maggiore probabilità di svolgere un lavoro non retribuito o di essere impiegate nell’economia sommersa, con impieghi precari o non qualificati. In politica gli uomini continuano ad avere il dominio dei ruoli politici. Senza andare troppo lontano, basti pensare che l’Italia, ancora oggi, ha avuto solo uomini a capo del governo o dello Stato.
Quindi no, la disparità di genere non è ancora stata superata, abbiamo sicuramente fatto grandi passi e ottenuto molte vittorie, ma siamo ancora lontani dalla totale parità”.

Cosa si può fare per contribuire a questa lotta contro la disparità di genere?
“Per contribuire a questa lotta contro la disparità si potrebbe iniziare a sensibilizzare nelle strutture scolastiche, iniziando ad evitare l’educazione sessista data dagli stereotipi di genere presenti nel libri delle elementari. Sarebbe ideale educare alle diversità e al rispetto reciproco senza canoni prestabiliti. Anche nel nucleo familiare si dovrebbe educare in maniera differente, per esempio non stabilendo come possano o non possano giocare bambini e bambine in base al loro sesso (esempio: un bambino può giocare con le bambole e una bambina con le macchinine), oppure non stabilendo dei colori (femmina-rosa, maschio-blu) e lasciando i bambini liberi di essere e di fare ciò che preferiscono. In età più avanzata è molto importante anche l’educazione sessuale, in quanto tra i giovani c’è troppa disinformazione e l’argomento “sesso” è quasi un tabù, soprattutto in famiglia. è dunque molto importante che i giovani vengano istruiti sull’argomento per evitare di cadere in errori dettati da stereotipi tramandati dalla società. Insomma la prima educazione dovrebbe partire dalle famiglie e dalle strutture scolastiche”.

Grazia Condorelli III BL