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La responsabilità individuale e collettiva al tempo del Coronavirus

Prima di trattare adeguatamente l’argomento, ritengo sia opportuno capire esattamente il significato del termine “responsabilità”.

Fin troppo spesso ho sentito, specie dagli adulti, frasi del tipo Sii responsabile” e non nascondo il fatto di aver sempre associato un significato negativo al termine, avendolo vissuto come un monito, un obbligo o comunque qualcosa di imposto da qualcuno. Scopro invece, solo oggi, che la parola deriva dal latino “rispondere”, e che appunto corrisponde all’attitudine a rispondere, ovvero alla capacità di reagire alle situazioni della vita in cui ci ritroviamo. Tutt’altra cosa quindi: una scoperta etimologica affascinante!

Tra le tante situazioni problematiche della vita, proprio in questo momento, ne affrontiamo una in particolare, l’emergenza Covid-19. Uno strano incantesimo che sta piegando il mondo. Un virus per il quale, già da alcune settimane, si è reso necessario un cambio di passo.

E che cambio di passo! Figuratevi! Io mi trovavo in Repubblica Ceca, tra Praga e Pisek, solo, diciassettenne, libero di vivere un’esperienza di scambio interculturale che sognavo da sempre. Ho scoperto il nuovo e l’ignoto, mi ci sono buttato quasi fosse un bisogno fisiologico. Poi l’ignoto è diventato casa mia e mi sono detto che nessuno avrebbe mai potuto piegare il mio diritto alla libertà.

D’un tratto tutto è cambiato. Inizialmente mi hanno chiesto di rimanere in casa, fortunatamente ero in ottima compagnia, poi il consiglio di amministrazione dell’associazione promotrice dell’esperienza ha deciso, “responsabilmente”, di terminare anticipatamente tutti i programmi all’estero e di rimpatriare gli studenti coinvolti.

Attenzione! Per evitare equivoci, ci tengo a dire che sono stato molto fortunato, la mia vita ha potuto seguire il filo della libertà assoluta e dell’autodeterminazione ed anche se, oggi, quel filo si è spezzato ho potuto imparare una competenza che si apprende solo sul campo e a proprie spese. Una competenza che, appunto, si chiama: “responsabilità”.

E’ qualcosa di cui l’associazione si è fatta carico, assumendola in “risposta” alla situazione emergenziale. Ecco che il saper dare risposte” è un concetto che semplicemente sta dentro alla parola.

E’ proprio questo significato del termine che ha spinto a chiedermi se tutti noi, di fronte a questo virus, abbiamo le risposte o, se più semplicemente, come dei bambini, ci sentiamo irresponsabili perché queste risposte non le abbiamo. Ma no! Lasciamo stare i bambini, anzi, mi sono imbattuto in alcuni video, divertentissimi, di bambini piccolissimi, forse di nemmeno un anno. E’ stato bellissimo, e ha strappato un sorriso  a tutti, sentirli dire, balbettando: “Io retto a casa”. Questo per significare che qualunque sia la nostra età, la nostra cultura o la nostra condizione sociale, avremo sempre delle responsabilità, perché dovremo sempre essere in grado di dare delle risposte agli altri e a chi ci ascolta.

Sicuramente però, in questa situazione, qualcuno si è dimostrato più responsabile di altri. A questo proposito mi piace ricordare, più che la classe politica, tutti quegli scienziati, quei medici e quei ricercatori che hanno lavorato giorno e notte senza tregua, e che continuano a farlo, per trovare delle risposte. Alcune le hanno trovate, altre le stanno cercando.

Un noto psichiatra, tale Eugenio Borgna, nel suo volume “Responsabilità e speranza”, sostiene che il senso di responsabilità deve sempre accompagnare il nostro cammino. I medici, di cui ho fatto menzione, così come tantissimi altri protagonisti di questi giorni, lo hanno fatto. Si sono fatti accompagnare dal senso di responsabilità, che non è solo civile o penale. Sono stati responsabili principalmente nei modi, nelle parole, nei silenzi, nei gesti, nell’attenzione, nell’ascolto, nell’immedesimazione, nella comprensione e nella solidarietà verso gli altri. Badate bene che per raggiungere questo livello di empatia diventa fondamentale conoscere se stessi come avevano già intuito Socrate e Platone.

E’ logico che di fronte a problematiche così complesse, tutti possono commettere errori. Ne sono stati commessi tanti, a più livelli. Al livello di governo, regionale o comunale, al livello sanitario e così via, ma debbo dire di aver molto apprezzato chi ha ammesso gli errori con umiltà e con voglia di imparare per il futuro. Perché anche l’ammissione è una risposta e quindi un’assunzione di responsabilità. Ammettere un errore ci apre le porte del cambiamento, ci dona tranquillità, e non è per nulla sintomo di debolezza, al contrario, dimostra coraggio di affrontare le conseguenze, permettendoci di maturare e crescere come persone. Persino nella nostra cultura religiosa troviamo un monito quando Gesù afferma: “Perché guardi la pagliuzza che è nell’occhio di tuo fratello, mentre non scorgi la trave che è nell’occhio tuo?…”. La trave è un chiaro esempio di come ciascuno di noi debba provare a dare delle risposte donando qualcosa di se stesso agli altri. Quindi? Come possiamo, tutti noi, dare delle risposte? Ed io, in particolare?

Una risposta che mi compete e sono stato in grado di elaborare subito è questa: Posso limitare la diffusione del contagio. Ma come? Ho limitato la mia zona di libertà personale che, vi assicuro, era diventata abbastanza ampia. Mi sto imponendo grandi sacrifici, vivo, come tanti, in uno spazio limitato, confinato. Mi sono convinto però che è un passaggio necessario, essenziale. Non è un problema di leggi, di regole scritte, di sanzioni ecc…,ce lo chiede la vita, una vita che va protetta ad ogni costo. Ma eccola la “responsabilità individuale”. Non è tanto la mia vita ad essere in gioco in questo momento. Non sono solo io a rischio, anzi, per dirla tutta, pare che gli adolescenti siano poco suscettibili agli effetti del virus, lo sono i nostri genitori, i nostri nonni e tutte quelle persone, magari con deficit immunitari, nei confronti dei quali tutto diventa una minaccia.

Anch’io ho qualcuno che vive con questi problemi di salute più o meno gravi. E’ a queste persone che devo pensare, prima di tutto, in un’ottica di responsabilità verso l’altro. E’ di loro che mi devo occupare e preoccupare.

Forse siamo poco abituati a pensare al bene degli altri, ma è ora di fare seriamente. Non ci sono scuse, urgenze o impellenze più importanti della nostra salute e quella di tutti. Per ottenere il risultato è richiesta la responsabilità collettiva, ma questa passa attraverso una consapevolezza individuale. Ci è stato detto che dobbiamo stare a casa. Probabilmente questa sorta di comando lo abbiamo associato ad un obbligo e quindi a quel significato negativo del termine “responsabilità”, ma quel “restiamo a casa” non è assolutamente un comando ma una risposta al problema.

Carlo Baudo 4CL