L’incerta utilità ed inutilità delle rivoluzioni.


Una rivolta può cambiare la storia per sempre? O no?

Possiamo fare a meno della rivoluzione?
Affrontando un argomento del genere è propio questa la prima domanda che ci poniamo: La rivoluzione é davvero utile? O possiamo farne a meno?
Mentre Il novecento è stato il secolo per eccellenza delle rivoluzioni potremmo dire che quello che stiamo vivendo negli ultimi anni sembra invece l’esatto opposto.
Allo stesso tempo però sembra molto rischioso comparare un secolo di assoluto cambiamento; un cambiamento che ricordiamo permanente – vediamo lo sviluppo del cinema, lo sviluppo della scuola, lo sviluppo delle arti e così via- come quello del novecento rispetto ai giorni nostri.
Ad oggi, con lo sviluppo avvenuto nella tecnologia, potremmo quasi dire che le rivoluzioni siano “passate di moda” quando in effetti, è propio grazie alla società cambiata nel tempo che hanno solo cambiato il loro modo di crearsi e di svilupparsi.
Rispondiamo quindi semplicemente alla domanda inizialmente posta: la rivoluzione é parte distinta di una società e lo sarà per sempre; bisogna ricordare bene però che non esiste un solo modo o tipo di fare rivoluzione.
“Finiscono le ideologie, finisce anche la rivoluzione”
Con questa frase ( di Prodi ) riusciamo effettivamente a spiegare il cambiamento avvenuto quando si parla di rivoluzione negli anni.
La rivoluzione non è un concetto scomparso, e sicuramente non è diventato un qualcosa di cui possiamo fare a meno. La rivoluzione però dopo il grandissimo sviluppo che la vita dell’uomo ha avuto, ha cambiato la sua forma.
Non é un caso il fatto che negli ultimi decenni più che di rivoluzioni, si parli di proteste.
In futuro quindi molto probabilmente ci sarà un qualcosa o un qualcuno che metta sottosopra ancora una volta l’idea di società che abbiamo oggi.
Solo e soltanto quel giorno probabilmente ritorneremo a parlare e a vedere delle rivoluzioni nello stesso modo in cui le abbiamo lette e imparate nei libri di storia.

La storia, in quanto raccolta di eventi umani, ci offre azioni di uomini e di donne che hanno cercato di cambiare qualcosa, qualcosa che fosse qualsiasi cosa: cambiare le condizioni sociali, emergere in un mondo dominato dall’avarizia e dal denaro, definire vecchi diritti e acquistarne di nuovi. Quante rivolte sono però andate a buon fine? Poche, pochissime, forse; ciò è legato, senza dubbio, allo strapotere di enti superiori, che non volevano di certo sottomettersi a quelli che, fino ad allora, erano dei comuni numeri e non certo persone.

28 maggio – 10 giugno 1358, Rivolta parigina.
La rivolta contadina, che iniziò prima nell’Île-De-France e divampò presto fino alla Piccardia, prevedeva una guerra alle tasse imposte dai signori locali, e sulla mancata protezione che questi riservavano ai loro lavoratori. Ci furono esplosioni di violenza e si saccheggi terrificanti nelle campagne, mentre profondamente diverse erano le rivolte svoltesi in città da Étienne Marcel, un ricco mercante francese, che guidava invece la rivoluzione borghese. Mentre i mercanti avevano progetti e idee chiare, l’animo di rivolta dei contadini era sollecitato solo ed esclusivamente dalla ferocia. Questo portò al ad una conclusione contraria alle aspettative: i nobili unirono le loro forze e sedarono ogni tipo di ribellione.

12 marzo – 5 aprile 1930, Marcia del Sale, India.
Mohandas Gandhi applica, per la prima volta, una dottrina di non-violenza per manifestare; Gandhi dopo alcune settimane di cammino (circa 350 chilometri) arriva all’Oceano Indiano e raccoglie fra le mani un po’ di sale: tale gesto rappresenta la violazione del monopolio dello Stato Britannico sulla distribuzione del sale indiano. Infatti, gli inglesi imponevano un’imposta sul sale e vietava a chiunque altro di produrlo privatamente. Col passare dei giorni molto indiani seguirono l’esempio di Mahatma e 60000 persone vennero imprigionati, come d’altronde lo stesso iniziatore. Tutti quanti non opposero resistenza alla prigionia e, dopo nove mesi, il governo si decise a liberare tutti.
Quest’atto di resistenza riuscì ad abolire il potere britannico e addirittura indebolì l’autorità inglese nei confronti dell’India.

Queste due esempi di rivoluzioni, in epoche, scenari e condizioni diverse, offrono una chiara rappresentazione dell’importanza delle rappresentazioni e su come queste ultime possano essere utili o inutili, a seconda dei modi con cui vengono sviluppate.


In termini di ideali e opinioni, capita spesso di accorgersi che qualcosa intorno a noi non riflette il nostro pensiero o semplicemente crediamo sia sbagliata. Quando avviene ciò, cerchiamo di cambiare quel qualcosa che non ci convince in tutti i modi. Quando si tratta di cambiamento, però, non sempre la soluzione migliore è il diretto tentativo di imposizione di un’alternativa differente a quella che già esiste. Spesso ci si basa troppo sul far sapere a tutti le proprie idee senza pensare che il cambiamento, per essere prodotto all’esterno, deve partire dall’interno. Non basteranno mille cortei a far convincere le persone che investire su attività che nuocciono all’ambiente è un qualcosa di assurdo e crudele, e ciò non significa che i cortei non servano a nulla ma, a volte, per cambiamenti così radicali bisogna partire dalla radice del problema.
Le proprie opinioni, le proprie idee e i propri pensieri si riflettono nelle nostre azioni. Il pensiero critico insito o sviluppato in noi ci porta a giudicare gli atteggiamenti altrui e a schierarci, solitamente da una parte o dall’altra. Tuttavia, l’animo e la mente umani, in quanto umani, sono complessi e spesso due alternative non bastano. Nascono così diversi schieramenti, tutti in egual modo validi (sebbene non siano appoggiati da tutti) e in egual modo soggetti a contraddizioni. Parlando di cambiamento c’è da dire che è complesso e, forse, impossibile trovare un’idea o un punto di vista comune ma anche saper difendere le proprie idee, a parole o con i fatti, senza sfociare nella più completa incoerenza è altrettanto complicato.
Per creare un vero cambiamento, quindi, bisogna innanzitutto mettersi in discussione e, ad ogni modo, cercare di far convergere le proprie azioni e i propri ideali in un’unico atteggiamento coerente con quello che è il proprio pensiero.

Francesca De Martino Fabiana Galluzzo Sofia Sarracino 3N Classico 2.0- Liceo G.B. Vico napoli