Linguaggio animale

Sappiamo bene come funziona il nostro linguaggio e come si è evoluto
tempo, ma cosa sappiamo davvero sul linguaggio degli animali?
Innanzitutto, dobbiamo capire che cosa si intende per linguaggio. Può
essere descritto mediante quattro parametri: descrizione, grammatica,
produttività e dislocazione, nel dettaglio essi significano.
1. Descrizione: la combinazione di suoni o gesti che comunicano un
concetto
2. Grammatica: l’insieme di regole che definiscono come associare i
vari suoni/gesti
3. Produttività: l’abilità di combinare concetti per formare un numero
infinito di messaggi
4. Dislocazione: l’abilità di comunicare concetti che non si trovano
direttamente davanti ai nostri occhi, come: eventi del passato, del
presente o immaginari.
In alcuni animali è possibile rilevare solo il primo di questi parametri,
come ad esempio nei granchi che comunicano tramite una serie di gesti il
loro stato di salute, o come nel caso delle seppie che tramite un
cambiamento di colore (dovuto all’attivazione di specifiche cellule
chiamate cromatofori) riescono a riconoscersi fra loro e a spaventare i
predatori. Tuttavia, in entrambi i casi il loro linguaggio è asservito solo a
comunicare situazioni attuali, e non utilizza una vera e propria grammatica.
Altri animali sono invece in grado di combinare più gesti per comunicare
concetti complessi, due esempi sono le api e i cani della prateria.

Le api riescono tramite una sorta di “danza” a comunicare la posizione e il
colore dei fiori migliori, mentre i cani della prateria riescono con una sequenza di fischi a avvertire il gruppo dell’eventuale presenza di un predatore e riescono anche a descriverne aspetto e dimensioni.
Tuttavia, nonostante utilizzino un sistema complesso questi animali non
riescono a fare riferimento ad eventi del passato o immaginari, ma solo
situazioni presenti.
Si è evidenziato come invece alcuni primati siano in grado di comunicare
anche concetti più complessi, ad esempio, Washoe uno scimpanzè coinvolto in un progetto sviluppato dall’ University of Nevada noto per aver appreso
l’utilizzo di alcune espressioni del linguaggio dei segni (in particolare dell’American Sign Language, ASL) divenendo così in grado di comunicare, ad un certo livello, con gli esseri umani.
Un altro ancor più sconvolgente esempio fu quello di Hanabi-ko, soprannominata Koko, una femmina di gorilla di pianura occidentale nota per aver appreso un gran numero di segni da una versione modificata della lingua dei segni americana (ASL). Koko è stata in grado di comprendere più di mille segni e e la cosa più sconvolgente fu che spesso, nei suoi
“discorsi”, faceva riferimento ad un gatto cui si era affezionata e che era morto.

Questo ci fa riflettere non solo sul fatto che fosse in grado di riferirsi ad eventi del passato, ma anche sul fatto che fosse in grado di provare empatia, il che apre un enorme problema bioetico.

Occorre dire in verità che il linguaggio con cui si esprimevano questi
primati era pur sempre un linguaggio umano, con una grammatica
umana. Inoltre, le abilità cognitive di questi animali erano in ogni caso
superate da quelle di un bambino di tre anni.
In conclusione, non siamo ancora a conoscenza di un animale che abbia
sviluppato un linguaggio simile al nostro, ma è anche vero che la ricerca
sta ancora andando avanti, per cui non possiamo sapere come questa
storia andrà a finire.

Luca Scuderi, III D SA