Doping: salvezza o condanna?

Il Doping è una pratica diffusa in tutto il mondo a patire dagli anni Cinquanta/Ottanta dai paesi dell’est Europa. Consiste nell’utilizzo di sostanze, non a scopo terapeutico, finalizzato al miglioramento delle doti fisiche degli atleti. Quest’ultimi, molte volte, ne fanno uso prima di affrontare una gara a livello agonistico, infrangendo così le regole. Infatti, queste non permettono l’assunzione di tali sostanze, non solo per un fattore etico e, quindi, scorretto poiché chi le assume avrà enormi miglioramenti in pochissimo tempo, ma anche perché sono dannose per la salute. Nella storia, sono stati in molti a usufruire di questa pratica, in particolare in
Italia, vediamo Alex Schwazer, ex marciatore italiano, campione olimpico della 50 km a Pechino 2008. Alla vigilia dei giochi olimpici di Londra 2012, l’atleta risultò positivo all’eritropoietina dopo essere stato sottoposto ad un controllo dall’ agenzia mondiale Antidoping . Schwazer venne così escluso  dal CONI (Comitato Olimpico Nazionale Italiano), sospeso e squalificato per tre anni e 6 mesi dal Tribunale, Nazionale Antidoping. Successivamente, nel giugno 2016 fu nuovamente squalificato, in quanto gli furono trovate minime quantità di testosterone nelle urine. Tale episodio però, è stato probabilmente manipolato dall’esterno, ecco perché fino a 8 mesi fa
(settembre 2019) ci fu un’udienza a Bolzano per discutere dell’accaduto.
Il doping in sé è per sé corrisponde all’utilizzo prolungato e periodico (anche se non sempre) di farmaci a uso terapeutico in soggetti sani, quindi, in base alla quantità di dose ingerita o iniettata può generare degli effetti positivi o negativi. Quest’ultimi, in base alla sostanza usata, generalmente corrispondono a sterilità negli uomini e virilizzazione nelle donne oppure danni ai reni o al cuore.

Testo ed immagine di 

Chiara Panettieri, III DSA